Kathmandu - La valle dei misteri (parte II)

09 - 11 Agosto 2016

La mattina dell’08 Agosto prendiamo presto un apetto per il nord della città verso lo IOM (International Organization for Migration) dove ci aspettano gli esami medici per l’Australia. Siamo un po’ in ansia anche se non capiamo perché: forse il fatto di non aver fatto un analisi del sangue da 7 mesi, con tutti i paesi che abbiamo attraversato, non ci fa essere proprio tranquilli sul nostro stato di salute. Ma speriamo che loro considereranno solo malattie di un certo rilievo! L’attesa è lunga ma poi, una volta partita la procedura veniamo sballottati velocemente tra un’ala e l’altra dello stabile per fare le varie analisi: urine, sangue, radiografia del torace, visita medica. Erika si mette anche d’accordo con il medico per avere le risposte l’indomani al pomeriggio.

 

Kathmandu IoM
In attesa della visita…col terzo occhio!

Usciamo che abbiamo una fame da lupi non avendo mangiato nulla a colazione. Per festeggiare la fine delle incombenze per il visto australiano ci concediamo un europeissimo cappuccino e cornetto in un bar dal sapore occidentale; questo deve essere il quartiere ricco di Kathmandu!!
Portiamo la biancheria sporca in una lavanderia con l’asciugatrice (altrimenti con il monsone i vestiti vengono ripiegati sempre umidicci) e poi decidiamo di andare a visitare Patan, una delle capitali dei regni nepalesi, insieme a Kathmandu e Bhaktapur. Ovviamente non abbiamo idea di come fare ad arrivarci ma ci affideremo alla confusione di Ratnapark per dirimere la questione.
Per pranzo proviamo ad entrare in un locale che ci sembra avere dei livelli di pulizia accettabile ma quando ordiniamo evidentemente troppo poco il cameriere prima ci dice che non è disponibile poi, alle nostre insistenze, ci fa cenno di seguirlo, con faccia scocciata, e ci accompagna in un altro locale nel retro dove dice ci serviranno quello che vogliamo. Cerchiamo di rimanere calmi ma se ce ne fanno un’altra li mandiamo a cagare. Puntualmente arriva il cameriere che ignaro di tutto ci porge nuovamente il menù e ci chiede cosa vogliamo, diciamo che abbiamo già ordinato, lui dice di no, con faccia scocciata, io gli dico di andare a cagare lui e l’amico. Usciamo mentre ne diciamo quattro pure al primo cameriere e andiamo in un localino zozzo due metri più in là ma gestito da una graziosissima signora. Assaggiamo tutte le “sugnosissime” palline di pastella fritta, ripiena di varie verdure, presenti sul bancone.
Una volta sazi, proviamo a trovare il bus per Patan, che scopriamo essere una delle cose più difficili nonostante sia la meta più vicina tra quelle della valle di Kathmandu. Chiediamo a un po’ di persone che ci indirizzano ad una fermata un po’ lontana dalla folla di autobus. Anche qui chiediamo ad altre persone fino a che un ragazzo ci dice che ci avvertirà lui quando il giusto autobus arriverà. Aspettiamo un buon quarto d’ora, cosa strana per i trasporti locali qui in Nepal, gestiti come pulmini privati, e di solito frequentissimi. Comunque alla fine ce la facciamo.
Giungiamo a Patan alla stazione degli autobus e da lì seguiamo il “walking tour” della Lonely Planet (come siamo originali), per vedere un po’ cosa offre questa piccola cittadina oltre la famosa Durbar Square. Attraversiamo quindi vicoletti, piazze, cunicoli e stradine, deserti data la bassa stagione, che non ci regalano nessuna emozione particolare. Anche qui tutto è in ricostruzione o gravemente danneggiato.

Kathmandu Patan temples
Il tempietto in mezzo al nulla

 

Kathmandu Patan street
Nelle vie di Patan

Attirano la nostra attenzione solo dei bimbi che giocano in una grande vasca di raccolta dell’acqua: dopo una mia foto strillano ovviamente “MONEY MONEY MONEY!!!”…le storture create dal turismo.

Kathmandu Patan
I bambini money

Prima di giungere alla Durbar Square passiamo però per un bellissimo tempio: il Kumbheshwore Temple. Qui coloratissime signore avvolte nei loro sgargianti vestiti fanno la spola tra un immagine votiva e l’altra, a volte facendo lunghe file per rendere omaggio al particolare dio, incuranti di noi turisti armati di macchina fotografica.

Kathmandu Patan Kumbheshwore Temple
Vita nel tempio

Anche un indovino è particolarmente preso nel suo lavoro con diverse clienti in attesa di un suo consulto.

Kathmandu Patan Kumbheshwore Temple
Un indovino mi disse…

L’atmosfera è molto intensa e interessante quindi rimaniamo qualche minuto in più ad osservare tutta questa umanità. Poi proseguiamo per l’attrazione principale che questa cittadina offre.
Arriviamo alla piazza principale e da lontano il colpo d’occhio sembra essere migliore della sorella di Kathmandu, ma poi ad uno sguardo ravvicinato vediamo che anche qui il terremoto ha portato gravi danni che non giovano di certo al panorama. Enormi recinzioni di sicurezza impediscono (giustamente) l’accesso ai principali siti e a noi non resta che far le foto al di qua di queste. Nonostante ciò la bellezza e l’antichità di questo luogo traspirano dai tanti edifici che sono ancora miracolosamente in piedi e che svettano, con le loro particolari architetture, sugli altri.

Kathmandu Patan Durbar Square
Un’altra Durbar Square

 

Kathmandu Patan Durbar Square
Particolare

Proseguiamo la passeggiata lungo una bella via storica che si allontana dalla piazza ma che ne conserva il valore storico-artistico. Poi il tour si perde nuovamente in stradine piuttosto anonime che nulla aggiungono alla bellezza di quanto visto finora. Ad una svolta vediamo fermi degli apetti in attesa di clienti; chiediamo la destinazione e ci dicono Ratnapark: decidiamo istantaneamente che può essere venuto il momento di rientrare, anche per far riposare la malata. Scopriamo che siamo saliti su un famoso tempo cioè un apetto a trazione elettrica, primo tentativo di ridurre le mefitiche emissioni di tutti questi mezzi a motore nella caotica Kathmandu.

Kathmandu local transport
Gli apetti!!

Arriviamo in guesthouse e ci prendiamo un chai per rilassarci un po’ scrivendo qualche memoria nel nostro blog. Ci facciamo poi una doccia e usciamo per cena. Vogliamo dare un po’ di tregua al nostro intestino dai cibi locali quindi ci fermiamo in una tavola calda ai margini del quartiere turistico che, dalle locandine esterne, vanta cibi da fast-food occidentali.
Io ordino un cheese-burger ed Erika un wrap con verdure. Ora, potete non crederci, potete dire che è tanto che non assaggiavo un Hamburger ma vi assicuro che dopo quell’oretta e mezza per prepararlo, una volta addentato, ho visto il paradiso. BONO BBONO BBBONO!!!!! Non riuscivo a smettere di dirlo. Gustoso, cotto al punto giusto, col formaggio saporitissimo!! Il miglior Cheese-burger mai mangiato!! Volerei ora a Kathmandu solo per mangiarne un altro!!!!

Kathmandu food
Più grande della bocca

Il giorno successivo ci svegliamo presto per fare un giro nel centro storico di Kathmandu in un momento relativamente più calmo. Spero infatti di riuscire a fare qualche bella foto. Ripercorriamo così le vie che oramai conosciamo più che bene fino alla Durbar Square, ma che a quest’ora sono tutte colme di frutta, verdura e carne in un lunghissimo mercato senza soluzione di continuità.

Kathmandu markets
Venditrici annoiate…

Specialmente la piccola piazza che appena arrivati, ancora con gli zaini in spalla, ci era piaciuta da impazzire, la mattina risplende di una vivace autenticità.

Kathmandu markets
I mercati occasionali

Dopo una intensa sessione fotografica ci incamminiamo a prendere un mezzo per Boudhanath, per poi, una volta arrivati li, proseguire a piedi verso l’ingresso posteriore del tempio Pashupatinath, luogo delle cerimonie funebri induiste.
Il biglietto del tempio è al solito di un prezzo esagerato, pari al costo di mezza giornata di vita qui, tutto compreso. Una volta entrati si deve risalire una collina con una lunga scalinata in cui le scimmie la fanno da padrone.

Kathmandu Pashupatinath
Le signore del tempio

Da questo lato è posto un unico tempio, ma non è accessibile ai visitatori. In cima altri templi sono sparpagliati attorno alla via principale ma tutto ci sembrano tranne che imperdibili. L’incuria è palpabile, la sporcizia è ovunque, informazioni non ci sono…ci chiediamo dove vadano i soldi del biglietto. Per carità sarà un atteggiamento da occidentale pretendere nei luoghi turistici pulizia e informazione ma se te, governo nepalese, mi tratti da turista occidentale impaccato di soldi quando mi chiedi i soldi per il biglietto, io mi comporto da turista occidentale con la puzza sotto il naso quando visito i tuoi siti.
Fortuna che poi la vita, o qui forse è meglio dire la morte, con tutti i suoi riti, la sua cultura, le sue sfumature così diverse, prendono il sopravvento sul semplice mantenimento di edifici. E allora ecco che scendendo la collina ci troviamo davanti ad uno dei luoghi che più scatenano emozioni contrastanti dentro noi stessi: il luogo delle cremazioni.
Prima passiamo, sempre seguendo la scalinata, tra diversi piccolissimi templi disseminati lungo questo lato della collina, poi arriviamo al fiume sacro. Due grandi ponti di pietra lo attraversano e offrono anche un punto di vista per le cerimonie funebri.

Kathmandu Pashupatinath
Il fiume sacro

A sinistra ci sono le piattaforme, a ridosso degli argini dei fiumi, dove vengono allestite le pire funebri, sulla destra invece si erge il maestoso tempio di Pashupatinath, visibile per noi solo dall’esterno.

Kathmandu Pashupatinath
Vita e morte

Uomini mezzi nudi e pitturati dalla testa ai piedi, a volte fasciati da lunghi drappi arancioni, i famosi Sadu, girano per questi luoghi in cerca di elemosina. Sono ben contenti di farsi fare una foto, chiedendo poi in cambio un’offerta. Benché non mi piaccia proprio questo costume della foto a pagamento, non posso esimermi dall’avere anche io un’immagine di un o di questi guru. Così risalgo per un poco la scalinata e ne trovo uno che è placidamente svaccato su uno dei tanti piccoli templi. Decido di avvicinarmi per fare una foto, chiedo il permesso e lui scattando subito si mette in posa: sinceramente preferivo quando era svaccato. Comunque oramai il danno è fatto e faccio la foto un po’ controvoglia. Mi avvicino per fare l’offerta obbligata e tiro fuori 20 rupie, l’equivalente di una mancia ad un cameriere, a mio avviso più che adeguata per 12 secondi di posa. Subito il santone indignato inizia a starnazzare “NO SMALL MONEY, NO SMALL MONEY!!!” facendo cenno di non volere quelle banconote. Un po’ stupito io dico ok, faccio per andarmene rimettendo i soldi in tasca e allora subito mi richiama, ma continua la manfrina del non accettare così poco. Gli faccio capire che se li vuole sono questi altrimenti ciao. Li prende e ci salutiamo, lui probabilmente tirandomi qualche maledizione, che puntualmente sarebbe arrivata da qui a pochi giorni, sotto forma di intossicazione alimentare: dannati guru coi superpoteri!!!!

Kathmandu Pashupatinath
Il sadhu pretenzioso

Torno al fiume che un corteo funebre sta arrivando proprio a ridosso della riva. Sull’altra sponda ci sono degli enormi gradoni e un po’ di gente inizia ad affollarsi guardando in direzione della salma. Ci mettiamo seduti anche noi e, pur sapendo di non stare a guardare una rappresentazione teatrale, ma una vera scena di dolore, cerchiamo di capire cosa stia succedendo. Vediamo la preparazione del corpo, gli ultimi strazianti saluti dei parenti e degli amici, i diversi riti (molto simili alla vestizione di Vishnu vista a Budhanilkanta) e infine il trasporto alla piattaforma dove sono già pronti i grossi ceppi che serviranno da pira. La descrizione che ne faccio è volutamente sommaria, perché non riesco a distaccarmi dal rito così tanto da raccontarne ogni sua parte: mi sembra come di fare un torto alle persone che in quel momento stavano soffrendo di vero dolore. La sensazione che mi è rimasta è che anche in questo caso ci sia un rapporto più diretto con la morte. Nessuno è spaventato, nessuno cerca di nasconderla, sembra che sia considerata come un qualsiasi momento della vita, anche se è l’ultimo. Tutto questo smuove qualcosa dentro di me, la consapevolezza che è il nostro costruire tabu sulle normali esperienze della vita che rende queste cose così spaventose; accettarle sarebbe il primo passo verso una serenità profonda (cose che Seneca o Buddha stesso spiegano molto meglio di me).
Assistiamo all’accensione della pira funeraria, poi, assieme al fumo che invade tutto il tempio e si disperde, ci allontaniamo, ancora scossi, da quel luogo così spiritualmente provante. Mangiamo un boccone in una tavola calda appena fuori il tempio (in cui proviamo anche dei dolcetti fritti e glassati, che poi scopriamo essere fatti al 100% di burro, ottimo per le coronarie) e poi ci rimettiamo in marcia verso lo IOM. Infatti dobbiamo andare a ritirare le risposte delle analisi di ieri. Sempre con i mezzi riusciamo a raggiungere la struttura con mezz’ora di anticipo, quindi ci fermiamo a prendere due masala tea.
La dottoressa che ieri ha visitato Erika ci dice che non può rivelare il risultato degli esami ma ci può solo dire che da parte loro non ci sono obiezioni al rilascio del visto, ma ovviamente l’ultima parola spetta al medico australiano. Noi cerchiamo di fargli capire che siccome sono 7 mesi che siamo lontani da casa ci piacerebbe avere, a parte il nulla osta per lo Skill Visa, anche i risultati delle analisi, soprattutto quelle del sangue, ma non c’è verso. Loro di prassi non rilasciano i risultati delle analisi e benché ci sembri assurdo non poter avere accesso alla nostra cartella clinica dopo aver pagato bei soldini, ce ne andiamo, contenti almeno che un altro passettino in avanti nel capitolo “Australia 2017” lo abbiamo fatto.
Torniamo a Thamel e facciamo qualche acquisto prima di tornare in guesthouse: la Routard dell’India del nord del 2016 in francese (poi Erika me la tradurrà) e un libro sull’Hinduismo (perché io quando entro in una libreria non riesco a tenere il portafoglio in tasca).
Per cena andiamo in un locale che abbiamo visto ieri sera; si trova vicino all’hamburgheraro TOP e ci ispirava per l’atmosfera rilassata e molto gioviale. E’ in una palazzina di mattoni su diversi piani, dove ogni piano è una piccola stanza con due tavolini. Alle pareti bandiere, monete di diversa nazionalità, frasi di canzoni, album e chi più ne ha più ne metta; luce soffusa e buona musica fanno il resto. Saliamo delle ripide scalette per entrare e l’atmosfera che abbiamo davanti è un po’ più angusta di quello che ci aspettavamo da giù. I due tavolini sono praticamente uniti, ci sono già 4 persone più il proprietario e ci appare subito chiaro che la politica della casa è fare tutti amicizia. Proprio oggi che avevamo scelto questo posto per fare un’uscita un po’ romantica!!
Ordiniamo dei piatti particolari e devo dire che sebbene la lentezza (gli ingredienti sono andati a comprarli non so dove dopo l’ordine) sono deliziosi e preparati con arte. Nonostante l’imbarazzo io ed Erika ci mettiamo a parlare tra di noi: volevamo un po’ di privacy e ringraziando il cielo la nostra lingua ci consente di non essere capiti. Verso la fine del pasto però attacchiamo bottone anche con i ragazzi che ci sono seduti di fronte. Soprattutto uno cattura le nostre simpatie: un australiano che ha comprato un pezzo di terra in Tasmania e ora vuole coltivarlo nella buona stagione: nel frattempo viaggia perché gli costa meno che vivere in Australia. Gli parliamo un po’ dei nostri progetti, lui ci fa qualche domanda filosofeggiante che solo queste creature solitarie e problematiche possono partorire, ma che puntualmente vengono vanificate dalla razionalità dirompente del nostro essere, fieramente, ingegneri, per quanto sognatori. Comunque la chiacchierata è piacevole e alla fine del pasto quasi ci dispiace andarcene. Ogni tanto scambiare due idee con qualcuno molto differente da te (e proveniente dalla nazione in cui passerai un po’ di tempo nel prossimo futuro) è arricchente in qualche modo.
Il giorno seguente facciamo colazione in hotel visto che è compresa nel prezzo e poi usciamo. Andiamo subito a comprare i biglietti dell’autobus per il giorno dopo. Abbiamo deciso, dopo la chiacchierata con Stefano, di fare una fermata intermedia tra Kathmandu e Pokhara, in un grazioso paesino di collina che sembra essere lontano dalla confusione delle grandi città: Bandipur. Lungo la strada compriamo anche delle mascherine da infermiere, qui usate contro lo smog, perché nelle ore di punta è veramente un supplizio respirare.

Kathmandu
Smog non ti temo…

Ci dirigiamo quindi a Ratnapark (e dove altro sennò??) per prendere il nostro autobus in direzione di Bhaktapur. Oramai siamo esperti di questo girone infernale e come arriviamo iniziamo a chiedere a chiunque indossi una qualche uniforme o abbia a che fare con gli autobus. Saltiamo su uno in corsa dopo esserci assicurati della destinazione. In circa tre quarti d’ora arriviamo a Bhaktapur. La biglietteria ci accoglie con un conto di circa 30 euro e dopo averci dato biglietti grandi come lenzuoli ci fa entrare in questa che sembra essere la meraviglia del Nepal.
L’impatto iniziale è effettivamente migliore rispetto a tutte le altre “capitali storiche”. Le strade e i vicoli sembrano curati e gli edifici hanno un loro interesse artistico.

Kathmandu Bhaktapur
La bella al tempio

Ci sono diversi angoli molto belli in cui perdersi a fare fotografie; i migliori sono i piccoli portici in legno che di tanto in tanto si aprono in un angolo di un palazzo, e che sembrano essere tanti centri di socialità del paese.

Kathmandu Bhaktapur
I portici conviviali

Qui diversi anziani del luogo si siedono per scambiarsi quattro chiacchiere e trasformano quindi questi posti in piccoli palcoscenici di vita. La prima tappa alla quale giungiamo quasi per caso, seguendo ciò che più ci colpiva alla vista, è la piazza dei Vasai. La lavorazione è simile a quella di tutti gli artigiani, in tutto il mondo, impegnati in questo mestiere. Il tocco di argilla bagnata da modellare viene posto su una superficie girevole, mossa a gran velocità, e le mani sapienti si adagiano sul materiale duttile per dargli le forme volute. La grossa differenza qui è il modo con cui viene data la spinta alla base girevole: nessuna macchina, nessun animale è usato, solo la forza dell’uomo. Un lungo bastone viene impiegato per spingere questa grande ruota di pietra e imprimergli il moto che poi manterrà per un certo periodo di tempo, nel quale avviene parte della modellazione. Esaurita la spinta l’artigiano deve ripetere il processo. Tutto questo è molto affascinante. Nella piazza sono ad asciugare una grandissima quantità di vasi di ogni dimensione e forma e altrettanti sono in vendita nei negozi per turisti ai lati.

Kathmandu Bhaktapur
Antichi mestieri

C’è anche un piccolissimo tempio in un angolo della piazza, vicino al quale vediamo un po’ di gente radunata. Decidiamo di avvicinarci e affacciandoci vediamo una capretta al guinzaglio dell’uomo più vicino al tempio. Sapendo dell’usanza di qui di offrire sacrifici animali agli dei, e non avendo alcuna intenzione di veder sgozzare un animale, ci diamo alla fuga il più velocemente possibile. Fortunatamente facciamo in tempo a svoltare l’angolo prima che succeda qualsiasi cosa.
Continuando la passeggiata Erika viene attratta da un piccolissimo negozio di orpelli e fronzoli per signore: da una colonna brillano una miriade di bustine di tika, i puntini rossi con il brillantino che le donne nepalesi (e indiane) usano mettersi sulla fronte. Non posso esimermi dal comprargliene una confezione da quanto è emozionata. Se ne mette subito uno in mezzo agli occhi e proseguiamo: ora manca solo un bel vestito colorato e sarà scambiata per una Nepalese doc!!

Indian tika
Primi passi all’indiana

La prima piazza a cui arriviamo è la Taumandhi Tole, dominata dall’imponente Nyatapola Temple con la sua enorme scalinata. E’ proprio qui a Bhaktapur che Bertolucci ha girato “Il piccolo Buddha” e in questa piazza si sono svolte diverse scene del Film; non fatichiamo a crederlo tanto sembra di calarci in un epoca antica camminando in questa piazza. I templi sono stupendi, anche il Bhairabnath Temple con la sua maggiore austerità è comunque molto bello, così com’è pieno di coloratissime donne che si riposano all’ombra dei suoi porticati.

Kathmandu Bhaktapur
Dentro a “Il piccolo Buddha”

Dopo una piccola sosta continuiamo verso Durbar Square, vicino alla quale pranziamo in un ristorante Newari. La piazza è quella che sembra aver subito i maggiori danni, soprattutto il pregevolissimo Vatsala Durga temple è completamente distrutto. Fortunatamente la famosa colonna del re Bhupatindra Malla è ancora in piedi così come il palazzo reale e i tempi intorno. Ci sediamo sotto una struttura in legno finemente intagliato che leggiamo essere una riserva d’acqua. Ci prendiamo un po’ di fresco facendo due foto e godendoci la piazza.

Kathmandu Bhaktapur
La terza Durbar Square…dopo il terremoto

Visitiamo poi il palazzo reale, o meglio quello che è possibile visitare, cioè la porta d’oro e un piccolo vicolo interno con finestre in legno lavorato molto belle ma non possibili da fotografare perché in zona militare.
Proseguiamo quindi la nostra passeggiata facendo un lunghissimo giro attorno al palazzo, sperando di poterlo vedere per lo meno dall’esterno ma otteniamo solo una gran sudata sotto un sole cocente.
Dobbiamo necessariamente trovare un posto dove riprenderci un po’ da questo clima torrido! Ci ricordiamo che la nostra guida dice che non ce se ne può andare da Bhaktapur senza aver provato il curd, lo yogurt locale. Noi non ce lo facciamo ripetere due volte e appena troviamo un posticino come si deve ci svacchiamo su dei comodi divani e ordiniamo due di questi imperdibili curd. Non rimaniamo estasiati dal sapore di questo prodotto tipico, ma ci godiamo il riposino più del dovuto tanto che quasi ci addormentiamo come salami.

Kathmandu Bhaktapur curd
Pancia piena di curd

Prima che sia troppo tardi riprendiamo la camminata per l’ultima piazza da ammirare prima di far ritorno in Hotel.

Kathmandu Bhaktapur
Donne in piazza

La Tachupal Tole oltre ad avere un bellissimo colpo d’occhio essendo contornata da palazzi bellissimi e un tempio importante (il Dattatruya) è famosa per avere la finestra in legno intagliata più bella del Nepal. Fatichiamo un po’ a trovarla ma alla fine riusciamo ad ammirare questo fine lavoro di cesellatura che crea la figura di un pavone con la coda completamente aperta. Va detto che ce la immaginavamo un po’ più grande ma anche così è molto bella.

Kathmandu Bhaktapur
Un edificio che si pavoneggia

Siamo veramente stanchi, evidentemente la pausa non ha ristorato a pieno le nostre forze quindi non vediamo l’ora di rientrare. Facciamo quindi a passo svelto la strada che ci riporta alla stazione degli autobus e saliamo sul primo diretto a Kathmandu.

Kathmandu Bhaktapur
Nelle vie di Bhaktapur

Qui ci dirigiamo subito in guesthouse per una doccia e poi, senza guardare neanche di striscio il letto (altrimenti saremmo crollati come bradipi) usciamo per l’ultima cena in questa città. Mi dispiace per tutta l’ottima cucina locale, i fantastici piatti della tradizione nepalese e i sapori di questa terra ma io devo assolutamente mangiarmi UN ALTRO DI QUEI FANTASTICI HAMBURGHER!!!!! Trascino quindi Erika dall’hamburgheraro e non badando a spese mi prendo addirittura le patatine fritte di contorno!! Cena spaziale!!
Il giorno seguente ci svegliamo presto e ci dirigiamo veloci verso la tourist bus station, che altro non è che la via più intasata di Kathmandu, che la mattina viene chiusa al traffico per essere occupata da decine e decine di autobus per Pokhara o il Chitwan Park. Troviamo il nostro amico che ci ha venduto i biglietti ci sistemiamo e prendiamo un the da una bancarella come colazione. Siamo pronti a partire!

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