Bagan - "..dicovi ch’ell’è la più bella cosa del mondo.."

25 - 29 Luglio 2016

Il viaggio da Mandalay è comodo anche se un po’ lungo. Arriviamo a destinazione senza intoppi, a parte qualche sosta di troppo. In una di queste uno strano personaggio mi avvicina con un “buongiorno” scandito alla perfezione: è un francese che conosce l’italiano, ma la lentezza con cui lo parla unita alla perfezione dell’accento e delle forme verbali ne fanno un quadro inquietante, sembra un serial killer. Mi chiede come arrivare in guesthouse una volta giunti e io gli rispondo che quando ci hanno venduto il biglietto ci hanno detto che ci avrebbero anche portati in guesthouse all’arrivo ma che, non avendolo mai visto fare prima, ero molto scettico al riguardo. Terminato ciò cerco di allontanarmi il più possibile dal suo campo d’azione e provo a rimanerci a lungo. Nella sosta di pranzo invece compriamo dei dolcetti al sesamo che ci mandano in visibilio: ne mangiamo solo un paio per averne di scorta nei giorni seguenti

All’arrivo i soliti tassisti ci assalgono per offrirci i loro servigi sovrapprezzo ma noi, avendo visto che la prima guesthouse è solo a un km e mezzo decidiamo di andare a piedi. Prima di allontanarci però capiamo che tutti stanno salendo su un camioncino perché il servizio drop-off direttamente in guesthouse c’è davvero! Fortunatamente Erika aveva guardato un po’ di posti dove stare ieri sera e quindi eravamo preparatissimi: Winner Guesthouse grazie!
Effettivamente è molto economica e carina quindi ci fermiamo soddisfatti. La prima cosa che leggiamo su un cartello enorme di fianco alla reception è che “ogni turista straniero è tenuto a pagare 25000kiat per visitare questi templi”. Lo sapevamo, ne avevamo già letto sulla guida e su internet, ma a noi continua a sembrare una assurda quantità di denaro per il costo della vita di qui. Decidiamo di seguire la linea del “finchè non ce li chiedono noi non chiediamo”. Speriamo che in bassissima stagione non gli convenga neanche stare a controllare i biglietti nei templi. Si, perché qui l’attrazione non è un singolo sito o palazzo: è un’intera pianura costellata di templi antichissimi. Ci possono essere infiniti punti di accesso e quindi il controllo viene effettuato solo all’ingresso degli edifici. Nonostante l’assurdità della cifra, decidiamo di non attuare tutte le accortezze e tecniche da James Bond, o meglio da italiano medio, per non pagare il biglietto. Noi gireremo normalmente e se qualcuno ce lo chiederà, pagheremo.
Ci riposiamo in stanza un paio d’ore, poi affittiamo le bici per la serata. Prima di andare a cena percorriamo la strada principale di avvicinamento all’antica Bagan, la città vecchia ora non più abitata. Nonostante la luce si affievolisca sempre di più attorno a noi vediamo decine e decine di templi tutti conservati (o ricostruiti?) a perdita d’occhio. Saliamo su una piccola collina, discostandoci un poco dalla strada asfaltata per godere meglio del colpo d’occhio e ragazzi se ne vale la pena!!
Ci dirigiamo poi ad uno dei grandi templi lungo la strada principale, uno dei più facili da raggiungere l’Htilominio temple.

 Htilominio temple
Il primo “gigante”

Entrando la sensazione è quella di star visitando i fori imperiali, tutto trasuda storia e solennità. Il tempio è imponente e si può anche entrare all’interno per percorrere il corridoio perimetrale dove i fedeli pregavano e pregano ancora oggi. Infatti la cosa strabiliante è che questi templi sono tutt’ora in pienissima attività e attraggono fedeli da tutta la nazione.
Durante il nostro giro veniamo anche “accalappiati” da una venditrice di souvenir che ci mostra un “secret-spot” da cui ammirare dall’alto la pianura. Decidiamo di seguirla e ci porta su un tempietto vicino nel quale, grazie ad una scalinata nascosta, si può salire sul tetto. Da lassù, nonostante il tempo grigio non aiuti, godiamo di questo unico paesaggio che è il vero tesoro di questo angolo di mondo.

 Bagan
La vista si apre

Per oggi riusciamo solo a intravedere la grandiosità di questo sito, ma già dalle prime occhiate ci sembra una delle cose più belle mai viste. A questo punto il prezzo del biglietto assume quasi un senso.
A cena ci dirigiamo verso nord, nel paesino di Nyaung U vicino alla nostra guesthouse. Tutta la via principale pullula di tipiche “trappole per turisti”, tipici ristoranti che servono pietanze locali al quadruplo del prezzo. Proviamo ad infilarci in stradine secondarie per scovare qualche tesoro nascosto, come a Mandalay ma, chiedendo in qualche piccola locanda, ci dicono che non hanno cibo e che dobbiamo rivolgerci a quelli sulla via principale. Ci sono al tavolo persone locali che stanno palesemente mangiando quindi non capiamo perché ci spediscano via. Forse perché per servire i turisti ci vuole una licenza?? Bah. Con le pive nel sacco ci dirigiamo quindi nella zona VIP, salvo poi scoprire una baracchina in un angolo che serve curry a 1500kiat. Perfetto, Proprio quello che serve a noi!
Ci sediamo e mangiamo qualcosa che non capiamo cosa sia, freddo e dal sapore non proprio eccezionale. Ok, domani cerchiamo qualcosa di meglio eh!
Tornando in bici verso la nostra guesthouse veniamo attratti da una stupa dorata enorme alla nostra destra (che poi scopriamo chiamarsi Shwedzigon pagoda). Pensiamo di riuscire a vederla senza crollare di stanchezza e quindi ci avviciniamo. Parcheggiamo le bici e prima di entrare io tento uno scatto da sopra un muretto, cercando di non procurarmi ferite invalidanti con il filo spinato e tentando di non cadere; tutto questo perché una volta entrati non sarà possibile far foto d’insieme di questa immensa struttura.
Appena entrati invece un enorme piazzale offre facilissimi punti da cui scattare foto scenografiche senza rischiare vita o connotati. Mi sento proprio furbissimo.

 Shwedzigon pagoda
Riflessi dorati nella notte

Lo spettacolo, a parte le mie avventure fotografiche, è bellissimo, e il fatto che sia vissuto da molte persone sia per pregare che come punto d’incontro per quattro chiacchiere, ne fa un micromondo di pace e serenità. Ci stiamo proprio bene.
Facciamo anche un giro completo per riguardo alla santità della struttura e ce la godiamo da ogni angolazione. Di notte, con l’oro che luccica risaltando sullo sfondo nero del cielo, è tutto molto più suggestivo.
Il giorno successivo è tempo di andare a visitare questa immensa distesa di templi, pedalando “sotto questo sole, rossi e col fiatone, si!!”. Al contrario di ieri infatti, il tempo è meraviglioso, il cielo è terso e rari bianchi nuvoloni rendono tutto meno banale. Il sole dona a questa campagna colori unici e noi ci innamoriamo degli angolini nascosti e delle ampie vedute sparse per la via.

 Bagan
Tenerezze mattutine

 

 Bagan
Piccoli templi spuntano ovunque

Ci dirigiamo verso uno dei templi più belli, forse uno dei più grandi, l’Ananda Pahto. L’esterno è grandioso, su pianta quadrata, otto ordini di ballatoi, tutto bianco ed oro, con al centro una stupa altissima. Con le dovute proporzioni sembra di essere di fronte alla S.Pietro del buddismo.

 Ananda Pahto
L’imponenza candida del marmo

L’interno anche lascia di stucco con un lungo corridoio perimetrale che collega i quattro enormi buddha dorati ai quattro ingressi.

 Ananda Pahto
La spiritualità degli interni

Continuiamo il nostro giro addentrandoci dentro l’antica Bagan. Qui uno dei più bei templi, il Thatbyinnyu Phaya ha, nelle vicinanze, la possibilità di salire sulle vecchie mura per godere del panorama. O per lo meno così leggiamo sulla guida: quando arriviamo la realtà è un po’ diversa e le vecchie mura sono un cumulo di sassi piuttosto basso. Il panorama dalla cima non cambia poi di molto, però possiamo fare una bella foto al tempio.

 Ananda Pahto
Templi che spuntano dalla foresta come in Cambogia

Proseguiamo poi verso un altro “must-have” sulla nostra lista: il Sulamani Pahto. Questo è il gemello di quello visto ieri sera ma gli interni sono decorati con affreschi bellissimi. Partiamo quindi in bici e pedaliamo sotto un sole che si fa sempre più caldo. Anche il fondo stradale non aiuta visto che dobbiamo lasciare la strada asfaltata per una strada bianca con tanto di sabbia, che con la bici non è proprio il massimo.
Lungo la via passiamo di fronte a un tempio molto alto e, meraviglia delle meraviglie, vediamo della gente in cima. Al volo decidiamo di sterzare e fare una piccola modifica al programma per andarci a godere il panorama da lassù. Raggiungiamo il tempio da una stradina laterale perché da dove siamo è più comoda. Io mi guardo in giro per vedere se c’è qualcuno che controlla i biglietti e vedo un gabiottino all’ingresso principale, quello da cui si deve entrare se si raggiunge il tempio dalla strada principale. All’interno c’è una donna ma non ci guarda; io d’altronde non posso essere sicuro che non sia li per vendere qualcosa e mi faccio gli affari miei. Saliamo i ripidissimi e alti scalini fino in cima. La vista è MOZZAFIATO.

 Bagan
Lo sguardo si perde prima verso Nord

 

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Poi verso Sud

Un’immensa pianura nella quale il verde chiaro dell’erba si alterna al verde più scuro delle chiome dei pochi grandi alberi, e ovunque si posi lo sguardo una manciata di pinnacoli rossastri, unica parte visibile dei piccoli templi. Poi ci sono i pezzi da novanta: cioè quei grandiosi templi, enormi che catturano l’attenzione e quasi la monopolizzano con la loro imponenza, il loro bianco stucco o l’oro delle loro stupe. Ma non bisogna solo soffermarsi su questi signori incontrastati perché la spettacolarità di questo sito è la vastità dell’antico ingegno umano votato alla religione e non rovinato, macchiato, umiliato dall’essere immerso nella modernità. Infatti in questo luogo, oltre a campi, strade bianche, templi e alberi non c’è nient’altro ed è questo che ne fa un luogo magico. Il solo pensiero che qui sotto i nostri occhi si ergeva una delle più belle città del mondo antico ci fa rabbrividire. Così la descriveva Marco Polo, giunto qui nel suo viaggio: “dicovi ch’ell’è la più bella cosa del mondo a vedere e di magior valuta”
. Questo è lo stralcio del capitolo dove ne parla. E’ emozionante seguire il libro di questo grande viaggiatore e primo autore della storia di una “Lonely Planet”!! Ma che sfida dove esser stata quella di intraprendere un viaggio verso zone di mondo così sconosciute a quei tempi. Un uomo immenso!

“Sappiate che, quando l’uomo à cavalcate 15 giornate per questo così diverso luogo, l’uomo trova una città ch’a nome Mien (n.d.r. Bagan), molto grande e nobile. La gente è idola. E’ son al Grande Kane e ànno lingua per loro.
E in questa città à una molto ricca cosa, che anticamente fue in questa città un molto ricco re; e quando venne a morte, lasciò che da ogne capo de la sopoltura si dovesse fare una torre, l’una d’oro e l’altra d’ariento. E queste torri sono fatte com’io vi dirò, ch’elle sono alte bene 10 passi e grosse come si conviene a quella altezza. La torre si è di pietre, tutta coperta d’oro di fuori, ed èvi grosso bene un dito, sì che vedendola par pure d’oro; di sopra è tonda, e quel tondo è tutto pieno di campanelle endorate, che suonano tutte le volte che ‘l vento vi percuote. L’altra è d’ariento, ed è fatta né più e né meno. E questo re la fece fare per sua grandezza e per sua anima; e dicovi ch’ell’è la più bella cosa del mondo a vedere e di magior valuta.

Marco Polo, “Il Milione”, 121 – De la provincia de Mien.


Ad uno degli angoli della terrazza superiore troviamo anche un simpatico quanto spaurito cinese che attacca bottone appena ci vede. Suda vistosamente e sembra agitato ma è molto amichevole e non capiamo cosa abbia. Poi piano piano ci inizia a dire che il suo zaino è molto pesante, che qui è molto alto, che non sa come scendere…capiamo che ha un problema con queste scale in discesa. In effetti sono molto ripide. Mi fa tenerezza e cosi gli dico che se vuole può scendere con noi e che sono ben felice di portargli lo zaino se questo lo tranquillizza. Anche ad Erika scatta l’istinto materno con questo povero ragazzo e quindi lo adottiamo per una mezzoretta.

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Uno scatto ad opera del cinesino

Ci facciamo fare qualche foto e poi iniziamo la discesa; lui ci viene dietro e dopo qualche incertezza iniziale, prende confidenza e arriva in fondo sano e salvo. Lo salutiamo dolcemente e gli diciamo di non salire più sui templi da solo…che non ci faccia stare in pensiero eh!!

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Stairway to heaven

Riprendiamo le bici e per non passare davanti al gabbiottino sospetto, usciamo da dove siamo entrati. Scopriamo poi che questo tempio da noi trovato per caso è tipo il punto di osservazione più famoso di tutta Bagan, lo Shwe San Daw Phaya. Roba che in alta stagione bisogna fare la fila per salire. Questo mi fa pensare che quindi il gabbiottino fosse davvero il controllo biglietti: se così fosse l’abbiamo scampata bella!!
Riprendiamo quindi la nostra strada per il Sulamani Pahto. Lungo la strada ci fermiamo di nuovo giacché passiamo davanti ad un tempio molto grande senza punta in cima. Leggiamo che all’interno ha una delle rarissime rappresentazioni congiunte del Buddha del passato e Buddha del futuro. Andiamo a vederlo e benchè non ci facciano gridare al miracolo ci danno lo spunto per approfondire di nuovo la differenza dei Buddha dei diversi tempi.

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Il mutilato

Finalmente arriviamo a Sulamani Pahto da una via laterale.

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Il fiero

 

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Lo scatto perfetto

Visto che è il nostro ultimo tempio tra quelli più importanti, vorremmo evitare di pagare proprio ora l’esoso biglietto. Proviamo a fare il giro per entrare da un ingresso secondario ma sono tutti sbarrati volutamente con dei grandi cespugli di spine. Durante la circumnavigazione io mi impiglio anche in uno di questi e mi graffio; ok passiamo dall’ingresso principale eh. Però almeno entriamo uno per volta così se fosse paghiamo un solo biglietto. Invece anche qui non c’è nessuno e siamo liberi di girare per il tempio. L’interno è affrescato con enormi Buddha o scene religiose, il tutto molto suggestivo.

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Gli affreschi dentro al Sulamani

In tutto questo girare si è quasi fatta l’ora di pranzo e decidiamo di rientrare: le ore più calde le vogliamo passare al fresco. Pranziamo in un locale che abbiamo visto ieri sera con fried rice e poi ci ritiriamo nelle nostre stanze. Bighelloniamo un po’ in guesthouse, scriviamo un po’ e vediamo passare anche una strana processione per raccogliere donazioni per il Buddha day che ci sarà l’indomani.

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La strana processione

Passo anche un bruttissimo quarto d’ora quando, già arrivati in guesthouse mi accorgo di non avere più la reflex: e ora dove diavolo l’ho lasciata?? Ripercorro, maledicendomi, l’ultima mezz’ora e collego che potrebbe stare dove abbiamo pranzato. Inforco al volo la bici e rifaccio tutta la strada indietro a tutta velocità pregando che non l’abbiano già venduta e nel frattempo dicendomi che sono sempre il solito. Ringraziando il cielo il gestore del locale l’aveva messa da parte e me la porge con un gran sorriso. Anche stavolta l’ho scampata…
Decidiamo anche di fare il biglietto dell’autobus per l’Inle Lake per domani dato che qui, una volta visto anche il tramonto di stasera, tutto sarebbe una ripetizione; vorremmo andarcene prima che tutto questo ci annoi, vorremmo rimanere con questa sensazione di meraviglia e di stupore per quello che abbiamo visto.
Quando il pomeriggio inizia a volgere al termine usciamo di nuovo per andare a vedere il tramonto con questi splendidi templi. Abbiamo diverse opzioni, suggerite dalla guida, da cui guardare il sole che scompare. Scartiamo a priori lo Shwe san daw phaya per paura dei controllori e anche perché lo abbiamo già visto. Ci dirigiamo quindi verso la Buleti pagoda che abbiamo letto essere un punto meno preso d’assalto dalla folla. Arriviamo e in effetti non c’è nessuno ma non ci entusiasma particolarmente: si può infatti salire su un ballatoio superiore ma questo non ci sembra così alto da permettere una vista d’insieme della vallata. Arrivati all’ingresso poi vediamo una ragazza con un cartellino appeso al collo: che sia un controllore??? Abbiamo fatto come il vento. Una fuga miserabile, lo ammettiamo, ma necessaria.
Ci dirigiamo quindi alla nostra seconda opzione disponibile e ci perdiamo un po’ per la campagna con le nostre fide biciclette che si insabbiano senza preavviso facendoci prendere dei colpi al cuore ma che poi ci fanno fare delle grandi risate. Arriviamo al Tha beik hmauk phaya e tutto ci sembra piuttosto abbandonato, anche sulla terrazza superiore non si vede nessuno. Proviamo ad entrare e immediatamente ci vengono incontro tre bambini di cui uno piccolissimo. Subito dietro quello che sembra essere il nonno. Gli chiediamo se è possibile andare di sopra ma ci dice che non ha le chiavi però possiamo fare delle foto ai bambini. So benissimo che questo comporta il pagamento di una piccola mancia che porterà questi bambini ad essere sempre usati per questo scopo, ma non resisto e un paio di foto le faccio.

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Campo di calcio improvvisato

Ripartiamo dopo aver evaso il nostro piccolo debito verso l’ultima opzione disponibile: la Pyathada phaya . Fortunatamente ci eravamo mossi per tempo e ancora manca un po’ per il tramonto. La Lonely Planet parla di questo ultimo tempio come opzione per i più avventurosi, che non hanno paura di arrischiarsi per stretti sentieri e che sanno orientarsi bene. Ora, io non so quando è stata pubblicata quella guida o che strada abbiano fatto quelli che l’hanno scritta ma il fatto che ci fosse una strada bianca con doppio senso di marcia in cui piccoli pickup trasportavano decine di persone verso il tempio mi fa dire che ora le cose sono cambiate. Comunque arrivando capiamo subito che questo è il posto giusto. La terrazza è molto alta e ampia e, nonostante le molte persone, sembra esserci spazio a sufficienza. Adottiamo sempre la tecnica del “va prima uno e poi l’altro segue se va tutto bene” e saliamo. Lo spettacolo è, come per la Shwe san daw phaya, ai limiti dell’incredibile e ora con questa luce calda e radente, tutto assume un romanticismo e una magia raramente provati.

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Tutto si tinge di arancione

 

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Le silhouette dei giganti

Ci sediamo sulla cima delle mura occidentali della struttura e ci rilassiamo godendoci il momento. Faccio qualche foto ma per lo più stavolta voglio essere presente qui ed ora. Il sole rimane visibile fino a poco prima di scomparire, poi una grande nuvola nera ci toglie la magia di vederlo trasformare in una palla di fuoco ma poco male. Oggi siamo stati strafortunati ad avere questo sole nella stagione delle piogge e non possiamo che ringraziare.

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Un abbraccio sulle mura

Ce ne torniamo velocemente in guesthouse prima che faccia buio in quanto in bici è pericoloso muoversi di notte. Poco prima di arrivare un intenso profumo di carne arrosto mi rapisce e non posso fare a meno di inchiodare. Erika capisce che ho veramente voglia di qualcosa alla brace e così ci fermiamo per cena. Tanto più che il locale è pieno di persone, quindi probabilmente molto rinomato in zona. I prezzi non sono bassissimi (per gli standard birmani) ma stasera ce lo possiamo permettere. Andiamo poi a dormire soddisfatti.

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Gli effetti della Mandalay Beer

Nota: mentre sto scrivendo è il 25 Agosto, giorno successivo al terribile terremoto che ha distrutto Amatrice e i paesi vicini. Nello strazio di seguire queste vicende via internet ci siamo imbattuti in un’altra notizia altrettanto terribile. Un altro terremoto, di intensità anche maggiore ma fortunatamente con l’ipocentro più profondo, si è abbattuto sul Myanmar e ha fatto gravi danni anche al sito di Bagan. Sembra che quasi 66 templi siano stati danneggiati e questo, benchè sia nulla rispetto alle troppe vittime del terremoto italiano, aggiunge sconforto e tristezza di fronte al dolore. Speriamo che sia i siti italiani che quelli birmani colpiti tornino a splendere più raggianti di prima.

La notte passa in maniera terribile. Erika si sente molto male, va molte volte in bagno e a questo si aggiunge un senso di nausea che non la fa dormire. Verso le tre di notte si misura anche la febbre e scopriamo che le sue sensazioni sono fondate: ha quasi 38. Io all’inizio non mi spavento troppo convinto che sia una intossicazione alimentare come quelle patite da me in praticamente ogni viaggio fatto. Poi però mi faccio prendere dalla paura anche io: ha la febbre, e la febbre è il sintomo principale della malaria, e la malaria prima si inizia a curare e meglio è. Ci eravamo ripetuti cento volte durante i mesi in sud est asiatico che se ci veniva la febbre correvamo subito al primo ospedale per fare il test ed ora che facciamo ritrattiamo?? Esco dalla stanza e vado a svegliare il tipo alla reception. Questo mi dice che ora gli ospedali sono chiusi (chiusi????) e quindi è meglio aspettare domattina. D’accordo, non sarà una tragedia.
Alle cinque torniamo alla carica, stavolta sono tutti svegli e un po’ più propensi ad aiutarci. Ci propongono di andare in una clinica privata per turisti, migliore dell’ospedale pubblico. Accettiamo anche se supponiamo costare l’ira di dio: ma sulla salute non si risparmia. Prendiamo il taxi del cugino del cognato del fratello del tipo alla reception che ovviamente ci spara un prezzo esagerato per portarci. Odio essere preso per la gola, ma oggi non sono io che sto male, abbiamo già abbastanza pensieri e quindi andiamo. Spero gli vadano di traverso.
La clinica è pulita, parlano inglese decentemente, ci fanno subito accomodare e chiamano il dottore. Arriva un ragazzo poco più che trentenne che, a primo sguardo, non ci ispira il massimo della fiducia. Come però inizia a parlare ci tranquillizza: sa il fatto suo. Visita Erika molto approfonditamente non tralasciando nulla e ascoltando le nostre richieste, preleva subito il sangue per il test malarico e fa un test empirico per la dengue. Insomma ci sentiamo tranquilli. Controlliamo che tutto sia sterile ed effettivamente ci sentiamo come in una clinica europea: almeno per queste operazioni di routine!
Entrambi i test danno esito negativo quindi il medico ci prescrive solo del paracetamolo per la febbre e integratori per i sali minerali persi. Andiamo alla cassa e, sorpresa delle sorprese, paghiamo una stupidaggine. Fantastico. Torniamo in guesthouse sempre con il taxi “del-cugino-del-cognato-che-gli-vadano-di-traverso” e ci buttiamo a letto. Ovviamente non c’è tempo di cambiare i biglietti dell’autobus ne di vederseli rimborsare un minimo ma non importa, ora l’unica cosa è rimettersi in sesto.

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La malata

 

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E l’infermiere/Sarto

La giornata passa quindi in estremo relax, Erika migliora ora dopo ora e anche la febbre a poco a poco scompare. Facciamo un po’ di lavaggio vestiti, scriviamo un po’ e mettiamo a posto le foto. Per pranzo e per cena ordiniamo qualcosa dal ristorante vicino: per Erika solo riso in bianco scondito…povera!!!! A me tocca mangiare di fuori visto che le da fastidio anche solo sentire l’odore del curry: speriamo che non gli rimanga questa brutta sensazione. Il gestore della guesthouse si prende a cuore la faccenda e mi dice che se la mia ragazza ha problemi di intestino può farle preparare dalla moglie un Ginger thè. Io penso che male non può fare e quindi accetto. Lo porto ad Erika che non solo se lo finisce e gli piace anche un casino ma la fa anche sentire meglio. Ne vuole ancora ma ora mi sembra brutto approfittarne!
Anche il giorno seguente passa allo stesso modo, non vogliamo accelerare troppo il rientro in pista per poi rischiare una ricaduta. Ci dobbiamo curare per bene, riprendere le forze e poi il viaggio. Tanto abbiamo una montagna di cose da fare per la pratica del visto australiano. Oggi Erika, decisamente migliorata, esce anche tranquillamente dalla stanza e lavoriamo quindi nella zona comune della guesthouse. Sentendoci sicuri che oramai il peggio sia passato, prenotiamo anche l’autobus per domani, speriamo stavolta di prenderlo!!

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La sedia birmana per eccellenza

Andiamo a dormire pensando che questo piccolo malanno ci è costato una cinquantina di euro tra autobus perso, clinica e taxi(!!!)…esattamente quanto NON abbiamo pagato per il biglietto di ingresso. Il karma ci ha punito, sicuro. Non pensavamo che fosse così immediato però, peggio di una fucilata!



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