05 - 07 Febbraio 2016

Stamani ci siamo alzati di buon mattino e abbiamo lasciato il nostro alberghetto di Quchan per affrontare la frontiera turkmena. In giro c’è poco movimento, iniziamo a chiedere i prezzi dei taxi ma tutti ci dicono di prendere un savari, alla fine troviamo un “tassista professionista” che dopo averci sparato 600000 rial abbassa a 200000. Accettiamo e partiamo ma prima facciamo tappa a casa sua dove la figlia, che parla inglese, ci dice che siccome non ci saranno altri clienti per andare al confine in realtà ci chiede 400000 rial, ma appena facciamo per uscire dalla macchina il prezzo ritorna a 200000, anche se lui continua a borbottare per tutto il tragitto!!

  Attraversiamo paesaggi montani senza nessun insediamento umano, ma piacevoli da vedere e che ci fanno degnamente salutare l’Iran, questo paese che ci ha preso il cuore! In cuor nostro, benché la speranza sia l’ultima a morire, sappiamo che l’ospitalità che abbiamo ricevuto qui sarà dura da ritrovare. Arriviamo in frontiera, ci mettono il timbro di uscita e siamo ufficialmente fuori dall’Iran. Facciamo solo qualche metro per arrivare all’ingresso del Turkmenistan, ma già si vedono i cambiamenti. Le uniformi dei militari sono diverse, di stile molto più sovietico, come i lineamenti delle persone, duri, che fanno ben poco sperare.

Ci sono poi una miriade di donne, commercianti di tappeti, che sono indaffaratissime nelle loro procedure doganali per importare da tappeti, a pentole, a sigarette. Le donne non indossano più l’hijab, ma degli strani cappelli, coloratissimi ed enormi a forma di cilindro, sembrano delle gitane per i colori sgargianti delle loro gonne lunghe e per le loro bocche dal sorriso dorato e sicuramente il loro ruolo nella società è molto più in prima linea che in Iran. Loro sono le regine della dogana, hanno una quantità di timbri da far paura e ti dicono quello che devi fare. Prima di ricevere il timbro di ingresso dobbiamo pagare la tassa di 11 dollari (perché il visto di transito per 5 giorni era costato poco effettivamente!) che la signora addetta alla riscossione ci ripete allo sfinimento “TUENTITU’ DOLLARS, TU PIPOL, TUENTITU’ DOLLARS”…finisce quindi in caciara, con noi piegati dal ridere!

Timbro di ingresso ottenuto, adesso ci devono controllare i bagagli, ci rovistano tutti gli zaini, ci aprono il pc e si ammazzano dalle risate quando vedono le posate del nostro kit da cucina…da morir dal ridere! Dopo aver faticosamente ricomposto gli zaini, andiamo fuori ad aspettare l’autobus che ci porterà ai piedi dei monti, a pochi chilometri da Ashgabat, la capitale del Turkmenistan. Appena arriva l’autobus c’è la corsa di tutte le signore con le bustate di roba che si ritrovano, noi cerchiamo di infilarci per assicurarci almeno due posti a sedere, questo tempismo non fu mai così utile…quando l’autobus parte, già pieno, fa una fermata a poche centinaia di metri (che tuttora non sappiamo cosa ci fosse, un’altra dogana?) e un’orda di persone assale l’autobus, donne, ragazze, uomini con il panzone ci schiacciano nel nostro angolino, ma almeno siamo seduti.

L’uomo il cui panzone dava direttamente sulla testa di Marco, si mette in bocca un chewing gum e con una grazia rara inizia a masticare a bocca ancora più aperta di quella che ci si può immaginare, così che Marco pensa che prima o poi dovrà condividere il chewing gum con lui. Avevamo letto che questo autobus doveva costare 10 dollari a testa, ma vediamo la gente intorno a noi che prima di scendere si prepara 10 manat (circa 2,5€), allora anche noi passiamo davanti all’autista con la faccia più sovietica che possiamo e 10 manat in mano…è andata! Almeno il primo spennamento che i turkmeni riservano ai turisti ce lo siamo evitato. Che poi mi chiedo: quante persone al mondo conoscono il Turkmenistan? Quante di queste lo sanno collocare geograficamente? E quante di queste vorrebbero andarci per passare le loro vacanze?? (ovviamente domanda retorica) e allora, governo turkmeno, perché ti accanisci contro gli unici turisti che vedrai da qui a un anno e gli fai pagare tutto a dei prezzi pompatissimi?? La corsa di taxi dalla fermata dell’autobus (in cui c’è l’ultimo controllo passaporti, il decimo credo!) costa 10 dollari (ne doveva costare 30 secondo la guida)…alla grande! Siamo soddisfattissimi, forse è anche la bassa stagione che ci aiuta! Mentre scendiamo col taxi dalla montagna inizio a capire perché Ashgabat viene chiamata la città bianca…è interamente fatta di palazzi bianchi con rifiniture color oro, sembra finta come una città del monopoli, e in effetti lo è!!

ASHGABAT
Ashgabat

  Dal taxi ci facciamo portare subito in stazione per prenotare il treno notturno che ci porterà al confine. Inizialmente avevamo deciso di ripartire il giorno stesso per non dare troppa importanza al Turkmenistan, ma poi abbiamo deciso di dare un’opportunità anche ad Ashgabat (magari ci sorprende!), quindi compriamo i biglietti per il 6 sera…l’acquisto è stato molto più semplice ed economico del previsto, ancora una volta da quando siamo arrivati siamo soddisfatti! Senza parlare del fatto che ci eravamo preparati al peggio anche come temperature e invece c’è un sole meraviglioso e una temperatura molto più che primaverile e benedico il fatto di poter stare finalmente con i capelli al vento!

Facciamo un veloce (e sugnoso!) pranzo in stazione e poi decidiamo di contattare il ragazzo trovato su Couchsurfing che ci aveva offerto una sistemazione, anche se non siamo molto fiduciosi della riuscita. E invece, contro ogni aspettativa, ci conferma che ci ospiterà per la notte e si offre anche di farci lasciare gli zaini in macchina sua finché non esce dal lavoro. Fantastico! E’ risaputo che anche gli alberghi turkmeni pompano i prezzi a dismisura per i turisti quindi ci eravamo preparati a spendere 50€ per una notte (che dopo i 10-12€ di media in Iran ci sentiamo male solo al pensiero) e invece siamo riusciti ad aggirare ancora una volta questa politica anti-turismo.

Raggiungiamo quindi Sahad al suo ufficio per lasciargli gli zaini e, sebbene il suo inglese sia davvero stentato, sembra caruccio…la mia mancanza di fiducia nel prossimo che in queste situazioni mi mette sempre in guardia si placa un po’. Adesso possiamo fare un giro per Ashgabat; visto che il sole è ancora alto e caldo decidiamo di stenderci un attimo nell’Indipendence Park, lo raggiungiamo a piedi e la prima cosa che notiamo è che non ci sono panchine, la seconda che è decisamente troppo pulito (ci sono le signore che SPAZZANO le aiuole!!) e la terza che siamo i soli a frequentare questo luogo!

Monumento ai cavalli turkmeni
Monumento ai cavalla turkmeni

  Timorosi di ricevere un richiamo dalla miriade di poliziotti e militari che monitorano il parco, ci sediamo comunque in un muretto per goderci un po’ di relax. Chiudo un secondo gli occhi ma vengo svegliata di soprassalto da un urlo di Marco…sta passando davanti a noi un plotone di militari in marcia…ma non ci dicono niente per fortuna.

Dopo un po’ continuiamo il nostro giro per la piazza e andiamo alla ricerca di un internet cafè di cui parla la Lonely Planet e camminando passiamo attraverso il bazar russo, molto carino, colorato e popolato solo da locali. Cerchiamo questo internet cafè per una mezzora buona, giriamo tutto il quartiere ma non ce n’è traccia e poi capiamo che è stato demolito in quanto si trovava in una delle molteplici aree diplomatiche di Ashgabat.

Con la coda tra le gambe, torniamo indietro in direzione della più grande attrattiva della città: lo shopping centre che possiede all’interno le uniche scale mobili di tutto il Turkmenistan. In questo modo tra andare, cazzeggiare e tornare perdiamo un po’ di tempo…perché Sahad ci aspetta per le 21:30, dopo la sua lezione di inglese. Raggiungere questo centro commerciale si rivela essere una delle cose più difficili da fare ad Ashgabat! Abbiamo avuto la brillante idea di passare per il quartiere diplomatico, in cui sono presenti tutti i ministeri.

Quartiere governativo Ashgabat
Quartiere governativo Ashgabat

  Qui la viabilità, soprattutto quella dei pedoni, è controllata da militari posizionati ad ogni 100m. Alcune strade sono accessibili ai pedoni solo da un lato, non ti azzardare poi a fare un passo troppo vicino agli edifici, sarai subito fischiato, le strade vanno attraversate solo con gli appositi sottopassaggi, e alcuni tratti sono chiusi al pubblico. Per farla breve, con tutte le variazioni che ci hanno imposto, abbiamo fatto il doppio dei chilometri per arrivarci.

Come se non bastasse abbiamo litigato con un militare che ci ha visto fare foto e con una dolcezza che solo i turkmeni possiedono mi ha preso il telefono e mi ha fatto cancellare tutte le foto (anche se una sono riuscita a salvarla!). Al centro commerciale ci ristoriamo un po’ e poi ci rimettiamo in cammino. Camminiamo fino allo sfinimento, perché ormai abbiamo deciso che per le distanze medio-piccole sono meglio i piedi dei taxi e ovviamente facciamo anche tardi all’appuntamento con il nostro padrone di casa. Finalmente in macchina, direzione riposo…o almeno così ci illudiamo che sia.

Sahad sembra simpatico e proattivo, nonostante il suo inglese appena accennato ci fa molte domande. Arriviamo a casa sua, dall’esterno sembra un garage, poi entriamo ed è una casa di tutto rispetto. La moglie ci prepara il chai, dolcetti e anche un po’ di roba per cena, peccato che noi l’abbiamo già fatta a Yimpas, il centro commerciale. Sahad non smette di farci domande e alla fine diventa un po’ stancante rispondergli visto che fargli capire le risposte non è sempre facile, fino a che, premettendoci che si vede che siamo stanchi, ci annuncia che parleremo fino a mezzanotte e poi possiamo andare a dormire….A MEZZANOTTE?? MA PERCHE’? MA SOPRATTUTTO, CHE CI DICIAMO UN’ALTRA ORA E MEZZA!!! Stiamo per stramazzare al suolo!

Lentamente si fa mezzanotte e il nostro rapitore ci rilascia la libertà di decidere delle nostre vite, ma solo per qualche ora: lui il sabato mattina lavora, quindi il mattino dopo per le 8:30 dobbiamo essere pronti per uscire di casa con lui, poi lasceremo gli zaini al suo ufficio, la mattina ce l’avremo libera, poi lo raggiungeremo per pranzo e passeremo insieme TUTTO il pomeriggio fino a che non parte il nostro treno…fa piacere avere facoltà di scelta! Una volta soli, ci facciamo una doccia veloce e a nanna! Quanto l’abbiamo dovuto faticare questo letto gratis!

Selfie con Sahad
Selfie con Sahad

  Luce che si accende improvvisamente, due parole “WAKE UP”, uno sguardo all’orologio, le 7:15…sto sognando sicuramente! E invece no, è la sveglia che il nostro caro amico ci riserva dopo appena 7 ore da quando ci aveva liberati la sera prima! Dentro di noi, e anche un po’ fuori, stiamo pesantemente maledicendo il giorno in cui abbiamo deciso di non spendere i 50€ di hotel! Sembriamo due zombie, ma nonostante questo anche a colazione dobbiamo parlare…ma per dirci cosa? E poi in che lingua se il massimo che ha imparato da 3 mesi di corso di inglese è la parola “tripping”, palesemente inesistente in inglese!

Riusciamo a sfangare anche questa per poi capire che i piani sono cambiati e si deve partire prima di casa, quindi ci dobbiamo preparare in 5 minuti, ovviamente! Arriviamo ad Ashgabat, molliamo Sahad al lavoro, insieme con i nostri zaini…finalmente soli! Stamattina proviamo a vedere cosa ci può dare questa città! La prima cosa che andiamo a vedere è il monumento simbolo della città, che viene chiamato dalla comunità internazionale lo sturalavandini, ma come si fa a non vederlo? Di certo non ci tornerò a breve!

Prendiamo un autobus in direzione del parco in cui si trova il monumento facendoci aiutare da un ragazzo che parla inglese, una rarità! Il parco, a differenza di quello di ieri, sembra essere più a misura d’uomo data la presenza delle panchine, continuiamo comunque ad essere noi gli unici visitatori. Non esiste però nessun vialetto interno che porti allo sturalavandini (detto anche pipozzo, da noi!) quindi ci addentriamo nella foresta. Arriviamo davanti, ci sediamo in una panchina per ammirarlo meglio…ogni commento è superfluo! Alla fine però capiamo che anche il Turkmenistan con tutte le sue regole assurde e questa città priva di storia e di vere bellezze ci sta regalando qualcosa. Rimarrà comunque un’esperienza in un paese completamente diverso da tutti gli altri, pieno di contraddizioni, e poi ci ricorderemo sempre le risate a crepapelle che ci siamo fatti per prendere in giro i turkmeni!

Ci lasciamo alle spalle il pipozzo, bianco come la città che lo ospita, e con gli autobus torniamo verso il centro, ormai siamo diventati anche esperti sui mezzi di trasporto locali e alternativi ai taxi. Scendiamo e decidiamo di andare a dare uno sbirciatina al tappeto più grande del mondo al museo dei tappeti, unica altra attrazione di Ashgabat. Il museo è troppo costoso ma la lonely planet dice che questo tappeto che ha vinto il Guinness dei primati se vede anche solo dall’ingresso. Proviamo ad entrare, ma essendo gli unici turisti da non so quanto tempo e per quanto tempo ancora, veniamo rapiti dalla bigliettaia che pur capendo benissimo che non siamo studenti ci fa comunque la tariffa scontata facendo finta di crederci. Alla fine il museo si rivela molto carino e noi ci divertiamo a capire dai motivi dei disegni sui tappeti la regione dalla quale provengono. Usciti dal museo manca ancora un po’ di tempo al nostro appuntamento con Sahad quindi riprendiamo la strada verso Yimpas, il centro commerciale, per fare un po’ di scorte di cibo per il viaggio in treno. Ci incamminiamo poi verso l’ufficio di Sahad chiedendoci ad ogni passo che cosa ci saremmo potuti dire per tutto il pomeriggio vista anche la difficoltà di comunicazione.In effetti siamo arrivati a sera che volevamo sbattere la testa in ogni luogo.

Sahad aveva grandi mire per il pranzo ma purtroppo per lui si è dovuto adeguare ai nostri standard di spesa e alla fine ci ha portato in un cafè che faceva il pranzo business a buon prezzo. Alla fine il pranzo è stato carino, le portate appetitose e, data la temperatura primaverile, abbiamo potuto mangiare all’aperto. Dopo il pranzo abbiamo fatto una passeggiata, ma alle 14:30 non avevamo più idea di cosa poter fare insieme. Sahad ha provato a proporci qualche museo, ma sinceramente eravamo poco interessati, senza contare i prezzi esorbitanti. Finalmente troviamo qualcosa per far passare il tempo: decidiamo di andare alla funicolare di Ashgabat che porta su una montagnetta per avere una panoramica della città bianca. Dato che è un po’ fuori città, tra spostamenti e giro in funicolare speriamo che si faccia ora di andare in stazione.

Sahad contratta per un taxi che ci porti là (ancora non abbiamo capito per quale motivo dobbiamo pagare lo stramaledetto taxi quando lui ha la sua macchina privata…e soprattutto visto che il pranzo glielo abbiamo pagato noi per ringraziarlo dell’ospitalità poteva anche dividere con noi il prezzo del taxi, o almeno fare il gesto!!!). Quando arriviamo Sahad, colui che ama le avventure, i viaggi e le passeggiate in montagna, ci dice che non verrà con noi nella funicolare perché ha paura. Senza nessun rimorso del fatto che lo stiamo lasciando da solo in fondo alla funicolare, saliamo e torniamo dopo un’oretta buona…finalmente un po’ di pace. La vista da sopra non è delle migliori, sia perché Ashgabat non può essere annoverata tra le città più belle del mondo, sia perché sopra di essa c’è una cappa di smog impressionante (che ci viene millantato essere nebbia), ma almeno riusciamo a stare un po’ da soli, anche se siamo belli nervosetti di come sta andando il pomeriggio.

Funicolare di Ashgabat
Vista di Ashgabat dall’alto

Torniamo giù, Sahad dice che si è annoiato, ma l’informazione ci coglie indifferenti…ma ancora manca più di un’ora alla nostra separazione. Il nostro caro amico decide allora di farci portare, con il taxi pagato da noi ovviamente, ad un cafè per prendere un tè, peccato che ci porta in un posto costoso e noi non abbiamo più voglia di spendere soldi appresso a lui. A questo punto della giornata ci chiediamo seriamente se non fosse stato meglio pagare quei maledetti 50$ per l’hotel, ma ci consoliamo col fatto che rimarrà un ricordo su cui ridere! Finalmente è arrivata l’ora per noi di andare in stazione (mentre Sahad deve andare a fare l’esame di inglese per passare dalla classe elementary a intermediate…ah, ma non stava nella beginners???).

Liberi da lui, siamo arrivati al limite di sopportazione, tanto che stiamo in silenzio anche tra di noi per cercare di limitare il nervosismo. Aspettiamo un’ora in stazione il nostro treno, nel frattempo ceniamo. Quando arriva il treno ci rendiamo conto che questa volta abbiamo le cuccette…in una cabina da 6! Nel vagone e nel treno siamo gli unici stranieri tra una miriade di turkmeni. Troviamo i nostri posti e subito dobbiamo discutere con i nostri compagni di cabina, vogliono addirittura vedere il biglietto per vedere se avevamo occupato i posti giusti e anche dopo questa evidenza (perché non conosco il turkmeno ma i numeri ancora li so decifrare) tentano lo stesso di dirci che i nostri posti sono quelli in cima…eh no caro, in cima ci vai tu! Alla fine, dopo un po’ di voce grossa si placano e improvvisamente diventiamo i loro migliori amici. Io, invece, che non riesco a switchare così facilmente l’umore, nervosa ero e nervosa rimango! Sarà perché il pomeriggio è stato estenuante ma non riesco a sopportare tutta questa umanità intorno a me, soprattutto un’umanità così rumorosa e così invadente! Sono stanca e vorrei solo un po’ di silenzio e stare nel mio angolino a fare i cavoli miei, invece c’è la musica a palla (che poi scopriamo essere la filodiffusione nel treno), c’è un mucchio di gente che si è radunata intorno agli “stranieri” facendoci domande in una lingua che non capiamo. Prendo l’ebook reader per estraniarmi un po’, ma mi vengono intorno per vedere cosa è e cosa sto facendo. Ci mettiamo le cuffie per ascoltare un po’ di musica e tolgono le cuffie a Marco per sentire anche loro.

Ci chiedono se abbiamo l’acqua e quando gli diamo la bottiglia ci bevono appoggiandoci la bocca. Sono arrivata al limite! Mi viene da piangere e per la prima volta da quando siamo partiti vorrei essere da tutt’altra parte! Per fortuna Marco è sempre al mio fianco. Lui non è particolarmente nervoso da questa situazione, lui è più bravo e più paziente di me e trova del positivo in tutto, anche in questa situazione che a me sembra insopportabile. Ma capisce il mio disagio, allora cerca di allontanare tutta questa gente, si stende sulla cuccetta con me ascoltando musica (per non sentire il rumore della realtà)…e così, tra le sue braccia, mi escono le lacrime ma ritrovo anche un po’ di serenità. E’ davvero un privilegio avere accanto una persona così, soprattutto in situazioni fuori dal comune come questa. Tra le sue braccia mi sento sempre a casa, anche a 6000 km da casa! La pace dura poco perché quando i nostri compagni di viaggio si rendono conto della situazione accorrono numerosi con il loro cellulari a filmare questo momento di intimità, chiedendoci anche di darci un bacio! Questa volta però, essendomi un po’ calmata, crepo dalle risate per l’assurdità di questo momento. Anzi, dopo riesco anche un minimo a relazionarmi con loro. Marco poi viene rapito per giocare a carte con loro, ancora dubito del fatto che avesse capito le regole del gioco :P. Dopo una mezzoretta, però, la socialità mi abbandona di nuovo e mentre Marco scherza insieme ai turkmeni, che ormai lo hanno preso come attrazione della serata, io mi ritiro nel mio angolino a leggere. Mi rendo conto che è un limite, ma stasera non riesco a fare di meglio. Mi sento in colpa con me stessa di non riuscire a vivermi quel momento molto particolare e folkloristico e per un momento penso di non essere in grado essere una vera viaggiatrice…ma poi penso anche che sono un po’ troppo dura con me stessa, alla fine un momento no può sempre succedere! Provando a convincermi di questo mi stendo nella mia cuccetta al secondo piano, mentre il vagone è ancora pieno di vita nonostante le luci si siano spente…”ssssshhhh police” scherzano i turkmeni con Marco!

Al mattino, direi quasi all’alba, i nostri amici, nonché compagni di cabina, decidono di mettersi ad ascoltare la musica a palla dal loro telefono…le cuffiette non hanno ancora avuto una diffusione capillare in Turkmenistan! Marco, che già si è adeguato agli standard di privacy del paese, ad un certo punto prende il telefono del tizio e stacca la musica…lo adoro!! Ancora un’oretta si riesce a sonnecchiare ma poi quando i turkmeni si alzano non c’è più modo. Iniziano a chiamare Marco 70 volte al minuto, lo scuotono, vogliono giocare a carte con lui. Poi si accende la filodiffusione del treno che spara musica dance turkmena a palla! Buongiorno!!! E’ iniziato l’ultimo giorno in Turkmenistan…che peccato! Lentamente arriviamo a Doshgouz, la nostra fermata, nonché il capolinea del treno. Adesso un’altra frontiera ci aspetta…oltre ad un freddo bestiale!  

Treno Ashgabat-Dashogus
Una delle fermate del treno per Dashogus

  Rileggendo quello che ho scritto sembra che ci siano solo critiche su questo paese e sulle esperienze che abbiamo vissuto in questi due giorni, vorrei quindi dedicare un’ultima riflessione per questa terra! Sicuramente non è un luogo per turisti, c’è ben poco da vedere, e soprattutto se non ti vuoi sbattere a fare il visto turistico ti puoi permettere solo un visto di transito di 5 giorni. Sicuramente dopo l’Iran, incontrare una popolazione così diversa e invadente è stato uno shock, almeno per me. Sicuramente i due giorni nella città fantoccio di Ashgabat non mi hanno arricchito gli occhi o stimolato il mio interesse.

Ma senza ombra di dubbio anche questi due giorni sono stati colmi di esperienze, abbiamo comunque scoperto un minimo un popolo e il loro modo di vivere e di relazionarsi, abbiamo vissuto nella nostra pelle tutte le contraddizioni a cui sono soggetti i cittadini turkmeni a causa di chi è al potere. Anche questo è lo spirito del nostro viaggio, non abbiamo intrapreso questa esperienza solo per vedere cose belle in posti confezionati per turisti. Anzi, sono soprattutto questi momenti in cui ci è sembrato di non aver fatto niente di bello o di sorprendente che ci rimarranno impressi. E senza dubbio, mi ricorderò molto a lungo della notte in treno!

Funicolare di Ashgabat
Arrivo funicolare Ashgabat

 

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