Khiva: mille matrimoni e un minareto

07 - 09 Febbraio 2016

Arriviamo di buon mattino in frontiera dopo essere scesi dal treno e aver contrattato con l’ennesimo tassista per l’ “Uzbekistan Border”. Come potevamo aspettarci dal lato turkmeno ci controllano anche le mutande, aprendoci tutte le borse possibili e facendo le domande sempre con quell’aria strafottente tipica di queste zone. Ma oramai ci siamo abituati. Vediamo anche un ragazzo giapponese seduto in un angolo; ci spiegano che non ha rispettato la frontiera di uscita riportata nel suo visto di transito. E’ molto giovane, ci dicono che ha 22 anni (viva la privacy comunque), ed ha un visetto tenerissimo. Spero veramente che non facciano troppo… i turkmeni.

  In Uzbekistan si cambia di nuovo musica. Tutti sono sorridenti e appena vedono che siamo turisti ci fanno mille domande da dove veniamo, cosa facciamo, cosa andremo a vedere etc etc. Ci mettiamo pochissimo e entriamo quindi in Uzbekistan. Se il customs control è più sereno i tassisti sono sempre della stessa pasta. Essendo questo un confine poco frequentato ci sono solo due tassisti che come ci vedono iniziano a leccarsi i baffi. Manco a dirlo fa un freddo boia. Ci sparano subito 50$, poi scendono rapidamente a 20$ per finire dopo un po di attesa a 15$ come ultima offerta. Noi sapevamo che era un ladrocinio per una corsa che a stento arrivava a 5$ e più per il principio che per i 10$ di differenza non volevamo cedere. Gli avevamo offerto massimo 10$ ma loro, sapendo di avere il coltello dalla parte del manico non volevano cedere. ANZI mi dicevano anche che Erika aveva freddo a stare li fuori ad aspettare. Quando mi hanno detto cosi non ci ho più visto. Sentirmi preso per la gola mi manda in bestia; ovviamente anche Erika era d’accordo e decidiamo di mandarli a quel paese e incamminarci a piedi: qualcosa troveremo. Appena muoviamo un passo uno dei due tassiti inizia a strillarci “MISTER MISTER OK 10$ 10$ 10$” quasi implorandoci. Non capivo. Poi girandomi verso la strada vedo una macchina arrivare e capisco. Un altro taxi stava sopraggiungendo che portava qualcuno alla frontiera dalla parte uzbeka e sarebbe stato ben contento di guadagnare qualcosa anche al viaggio di ritorno. Contrattiamo al volo per 8$ (glie ne avrei dati anche 10$ pur di non darli a quello che fino a un momento prima pensava di far leva sul nostro aver freddo) e ce ne andiamo salutando i due dal finestrino con un sorriso che raramente ho avuto stampato in faccia. Arriviamo a Khiva e diamo al tassista 10$ dicendogli di tenere il resto per i suoi 8 bambini (di cui ci aveva detto tutti i nomi in macchina). Se n’è andato anche lui felice come una pasqua strombazzando salutandoci con la mano di fuori.

La guest-house la troviamo abbastanza facilmente; il piano di sotto è in ristrutturazione, ma sopra le camere sono ottime. Ci facciamo un giro per Khiva e subito capiamo che è veramente un gioiello nel suo genere. La cittadella antica, interamente contornata da possenti mura, è veramente un museo a cielo aperto. Qui in Uzbekistan la politica riguardo le antichità è quella di ricostruire più che di conservare solo quello che è rimasto (anche a Samarcanda è così) e, tralasciando possibili ragionamenti di etica o di fedeltà all’originale, effettivamente in questo modo si rimane molto più colpiti da quello che si visita. Banalmente ti senti proprio di entrare in una cittadella fortificata della via della seta e questo è di per se emozionante.

Porta ovest di Khiva
Porta ovest di Khiva

  A pranzo assaggiamo i SOMSA uzbeki in ogni forma (sono dei ravioli di pane ripieni di carne e cipolla cotti sulle pareti di particolari forni costruiti lungo la strada; quando si ordinano, vengono staccati direttamente dal forno e serviti bollenti) e un kebab molto simile a quello Iraniano in una mini trattoria a lato del bazar. Vista la notte in treno ci mettiamo poi a riposare un po’ nella nostra stanza. Quando decidiamo di uscire panico: non trovo più il mio zaino. E li mi viene una folgorazione: l’ho lasciato di sicuro dove abbiamo mangiato!! Avevo dentro “solo” la reflex e il coltellino iraniano. Mi inizio a dare del coglione come pochi ma tanto lo so che la mia memoria fa acqua da tutte le parti. D’altronde è una vita che ci convivo. Proviamo ad andare al bazar, perché sono convinto di averlo lasciato li e che dopo non avevo niente in spalla, ma a quest’ora è tutto chiuso. Abbiamo perso anche le foto degli ultimi giorni…mi vorrei ammazzare. Erika mi sta vicino come solo una santa potrebbe ma in questi momenti sono intrattabile. Torniamo in stanza che non abbiamo voglia di stare molto in giro. Mi siedo sul letto e…sono un coglione: lo zaino era dietro la porta del bagno. Ci facciamo una grossa risata e Erika mi inizia a prendere per il culo a ripetizione: ha decisamente ragione. Apriamo la porta per uscire di nuovo e toh il ragazzo giapponese della frontiera è seduto nel divano fuori la nostra stanza! Lo salutiamo contenti che sia riuscito a superare il tutto indenne!! Ci dice che lo hanno lasciato andare ma non potrà tornare in Turkmenistan prima del 2017. Sai che perdita!! Andiamo a cena in un locale consigliato dall’hotel. Stendiamo un velo pietoso. Una sola parola: cipolla. Il giorno seguente con tutta la calma di cui siamo capaci quando vogliamo cazzeggiare ci vediamo Khiva in ogni suo angolino e in ogni suo (discutibile) museo.

Khiva dall’alto
Khiva dall’alto

  Ci fermiamo ad ammirare il famigerato e fotografatissimo minareto Kalta Minor, più tozzo che alto, in quanto era la base di un minareto che secondo i piani doveva permettere di vedere fino a Bukhara; peccato che una volta che il khan morì il progetto non fu terminato.

Minareto Kalta Minor Khiva
Minareto Kalta Minor Khiva

  Altra tappa molto suggestiva è la moschea Juma che con le sue 218 colonne di legno che sostengono il tetto sembra più simile a un bosco magico che a un luogo di culto.

Moschea Juma Khiva
Moschea Juma Khiva

  Ci lasciamo poi giusto qualche minareto da scalare il giorno successivo. Assistiamo ai festeggiamenti di circa 5 matrimoni (ma tutti a febbraio e tutti a Khiva???? bah) con balli e canti degni delle migliori (o peggiori) sagre di paese italiane. Incontriamo anche un altro viaggiatore: un italiano che di lavoro fa il capovillaggio negli hotel Valtur e nei mesi di buco viaggia in solitaria con budget minimi. Ci incanta per un bel po’ con il racconto dei suoi viaggi e ci mette la voglia di fare anche esperienze un po’ fuori dal comune rispetto al classico giro di città monumentali. Ne parliamo un po’ la sera con il mio amore ed effettivamente quando siamo stati ospiti delle famiglie Iraniane il viaggio ha assunto un altro sapore. Eravamo un po’ in dubbio se visitare il Kyrgykistan ma se c’è un posto dove poter fare esperienze diverse quello è il posto giusto. Certo in inverno non è proprio la stagione ideale, ma noi decidiamo di provarci lo stesso!

L’ultima emozione di Khiva ce la regala, il giorno successivo, il minareto più alto dell’Uzbekistan, con una scala interna dai gradini ciclopici: praticamente si saliva in verticale e completamente al buio. Erika all’inizio era un po’ timorosa nel salire ma poi preso il ritmo è riuscita ad arrivare in cima facilmente. Dall’alto lo spettacolo di questo museo a cielo aperto era da rimanere a bocca aperta. Prendiamo il taxi collettivo per Bukhara appena dopo pranzo. Le previsioni danno neve e questo ci elettrizza! Faccio fatica ad immaginare questo tipo di architetture, che uno di solito associa a clima caldi e desertici, con la neve: dovrebbe essere un contrasto magico! Vedremo…

 Decorazioni palazzi Khiva
Decorazioni palazzi Khiva

 

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