Koh Lanta - E' nelle difficoltà che si scopre quanto si è uniti

21 – 24 Aprile 2016

Il tragitto da Koh Phi Phi a Koh Lanta è più veloce del previsto. Dalla cartina mi sembravano distanti invece in poco più di un ora arriviamo al molo. Anche qui come sempre ci facciamo largo tra le mille offerte di tuk tuk e, pur non sapendo bene quanto fosse lontano il centro, ci incamminiamo a piedi. Scelta azzeccata perché dopo 5 minuti troviamo un Motorbike-Rental dal quale prendiamo una motorella e lasciamo gli zaini per andare a cercare una sistemazione.
Scegliamo la costa ovest e iniziamo a scendere verso sud; la strada corre lungo il mare ma questo è impossibile da vedere per quanti locali e guesthouse sono stati aperti qui. Facciamo un paio di soste a chiedere due prezzi per farci un idea: in una di queste ci fermiamo nell’opzione suggerita dalla Lonely Planet, il “Where Else?”. Effettivamente ci convince per i bungalow spartani ma curati e per la splendida zona riva mare fatta di piccole palafitte sulla spiaggia o grossi tavoloni in legno ognuno con il suo tetto di paglia. Visto che è presto vogliamo però provare a proseguire, casomai a tornare indietro si fa sempre in tempo.

Ci spingiamo molto a sud, quasi al parco naturale che si trova all’estremo inferiore dell’isola ma troviamo solo resort a prezzi più che doppi rispetto a quello che vogliamo spendere. Torniamo quindi velocemente al “Where Else?” e ci sistemiamo in un bungalow. Ci facciamo una bella doccia rinfrescante e poi ci mettiamo su un piccolo tavolino lungo la spiaggia a scrivere il nostro blog. La spiaggia che abbiamo di fronte non è male, è molto lunga ed ha una sabbia morbidissima, l’unica pecca è che nelle ore di bassa marea, come ora, il mare scopre il fondale molto roccioso, che stona un po’ con l’insieme del panorama. Mano a mano che il giorno cede il posto alla sera, un tramonto infuocato di una struggente dolcezza sembra rendere omaggio a questa isola mentre una fresca brezza riporta la temperatura ad un livello accettabile. Ci facciamo due passi lungo la spiaggia mano nella mano, in silenzio, godendoci questo momento che, come ogni tramonto a queste latitudini, finisce troppo presto.
Tornando indietro ci fermiamo in un localino per cena e qui parliamo, a lungo, delle difficoltà incontrate da Erika nell’affrontare il suo timore per i fondali marini e probabilmente della mia incapacità nello starle vicino in questo frangente, non riuscendo a capire nel profondo quali fossero queste difficoltà. Sono momenti importanti, in cui piano piano ci si mette a nudo e si scoprono nervi che sono rimasti sotterrati a lungo. Ma tutto serve a crescere, come coppia e come individui, a essere sempre più in sintonia, a conoscersi sempre più nel profondo, a capirsi. Alla fine ci sentiamo sempre un po’ più uniti, più forti, come soldati che sono stati in battaglia insieme. Andiamo a dormire stanchi ma felici, tenendoci per mano perché abbracciarsi, con questo caldo, è impossibile.
Il giorno seguente prendiamo la motorella e ci dirigiamo a sud. Ieri mi sembrava di aver visto una bella spiaggia un po’ isolata dove poter passare almeno la mattinata. Non riesco a riconoscerla benché la strada sia una e non ci sia molta possibilità di perdersi, ma ci fermiamo in una che sembra simile. Parcheggiamo vicino ad un Restaurant&Bungalows e ci incamminiamo sulla sabbia. Superiamo anche un altro resort con qualche lettino in riva al mare e ci dirigiamo verso una zona deserta per stare un po’ da soli. Un cartello scritto a penna e piantato sulla sabbia ci avverte “be aware of loosing your bags”. Ci fermiamo di fronte e provando a pensare come potremmo fare a “perdere” le nostre borse ci viene l’illuminazione, tipica della lucidità dell’attimo del coglione, che le scimmie qui sono solite fregare le borse dei bagnanti in cerca di cibo e che quindi qualcuno ci vuole avvertire di stare attenti. Va bene via, le legheremo a qualcosa di solido e non ci sarà il minimo problema; come dicevo prima, il momento del coglione.
Io raggiungo un posticino carino sotto qualche albero e lego tutte le nostre cose a prova di scimmia, poi senza altra remora mi vado a buttare in acqua. Erika vedendo che dal mare non si riuscivano a vedere le borse pensa anche per un secondo (poi mi dirà) di portarle a vista, ma poi scarta l’idea senza neanche ragionarci su.
Fatto sta che è una giornata meravigliosa il mare è bellissimo e intorno a noi non c’è nessuno. Ci facciamo un lunghissimo bagno, ridiamo, scherziamo, giochiamo siamo felici. Quando siamo stanchi ma appagati torniamo verso la nostra roba per sdraiarci e riposarci un po’. Risalendo continuiamo a ridere ma poi qualche occhiata più approfondita al nostro posticino sotto gli alberi ci rende sempre più evidente l’atroce realtà: il mio marsupio e lo zaino di Erika non ci sono più. Corriamo sui nostri asciugamani, io, abituato a perdermi le cose data la mia distrazione da Guinness dei Primati, mi metto seduto a ragionare su quanto fosse fondamentale quello che c’era dentro, Erika è invece disperata e urla tutta la sua disperazione inframezzata da vari improperi rivolti ai pezzi di merda che ci hanno rubato tutto, perché fin dal primo istante capiamo che non è possibile siano state le scimmie. Io la lascio sfogare, so che in questi momenti ne ha bisogno, so che reagiamo in maniera diversa, che lei tira fuori tutto subito mentre io sono a rilascio lento. Fatto sta che in quel momento, a parte il bruciare della fregatura, mi accorgo che dentro non avevamo nulla di cui non potevamo fare a meno, o che non potevamo ricomprare. Forse per i dati nei cellulari e per il numero di telefono dovevamo un po’ smazzarci ma tutto sommato non c’era nulla a cui eravamo particolarmente legati…tranne il coltellino iraniano, che avevo messo nel portafoglio per tenerlo sempre sott’occhio, e quello mi ha fregato. Capita. Fa tanto male ma so che poi passa.
I soldi sono la cosa che ci frega di meno ma ricostruiamo che al massimo dentro avevamo 40€ perché almeno il grosso di quelli li lasciamo sempre in camera. Hanno preso anche i vestiti di Erika dentro allo zaino, niente di importante ma ora è rimasta con il solo costume.
Andiamo prima al ristorante che ci dice di andare al resort dove di solito c’è sempre un poliziotto dato che queste cose accadono di frequente. Andiamo li ma di forze dell’ordine neanche l’ombra; nel frattempo Erika si è calmata ed è tornata ad essere efficiente come al solito. Ci ricordiamo che nel mio marsupio c’erano anche le chiavi della motorella quindi io corro a vedere che non l’abbiano rubata. Nel frattempo il gestore del resort ci offre di caricare la motorella su un pick-up e di accompagnarci da chi l’abbiamo affittata in modo da avere le doppie chiavi. Accettiamo anche se avremmo preferito passare prima al “where else?” per prendere un po’ di cose, ma sembra non essere possibile.
Lungo la strada imploro il guidatore di fermarsi un secondo di fronte al nostro alloggio promettendo di metterci solo 5 minuti. Lui, molto più accomodante del suo principale, accetta senza problemi; così posso recuperare i vestiti a Erika, qualche soldo e posso avvertire i gestori che non ho più la chiave della stanza, anche quella nel mio marsupio. In poco tempo sono di nuovo nel pick-up.
Scarichiamo la motorella di fronte all’hotel dove l’abbiamo affittata e la moglie del gestore, vedendoci, subito si preoccupa che non avessimo avuto un incidente: se non altro ha guardato prima che noi non ci fossimo fatti nulla che correre verso il motorino. Gli spieghiamo la situazione, lei probabilmente non la capisce ma ci dà la doppia chiave e in questo modo possiamo andare alla polizia.
Lungo la strada mi viene però in mente che dalla mia esperienza in queste cose la polizia poco può fare, molto meglio andare prima a bloccare la carta di credito e i cellulari. Torniamo quindi al “Where Else?” e andiamo nel sito della banca. La Fineco, che di solito è sempre in prima linea nei servizi on-line, non permette il bloccaggio della carta dal sito internet, dannazione. Dobbiamo chiamare un numero in Italia, ma noi non abbiamo un cellulare per poterlo fare. Chiediamo al proprietario se può prestarcelo ma ci spiega che con le SIM Tailandesi non è possibile chiamare all’estero, e che i telefoni fissi qui sull’isola sono più unici che rari. Fantastico.
Riprendiamo il motorino e iniziamo a girare per agenzie turistiche sperando che almeno loro abbiano un modo per comunicare con l’estero, ma ci troviamo sempre di fronte a un muro di no. Optiamo quindi per andare alla Polizia, magari li avranno un telefono che possiamo utilizzare.
Arriviamo e diciamo che dobbiamo denunciare un furto; ci portano da un funzionario con lo sguardo acutissimo e ci mollano li. Con estrema calma e ponderando ogni singolo movimento, visto mai uno sforzo eccessivo lo facesse sudare dentro questa ghiacciaia che spacciano per stanza con aria condizionata, ci porge un foglio da compilare e una penna. Scriviamo tutto, ovviamente in inglese e glie lo diamo indietro. Si mette a leggerlo riga per riga, soprattutto la parte dove descriviamo cosa ci hanno rubato e prendendo un altro foglio bianco si fa una lista, in tailandese, di tutta la refurtiva.
Quando gli diciamo che parte delle cose erano mie e parte di Erika va nel panico, il suo cervello non riesce ad elaborare una soluzione a questo problema imprevisto. Poi raccoglie tutto il suo sangue freddo e partorisce un’idea geniale: con una riga divide in due il foglio e da una parte scrive le cose di Erika e dall’altra le mie. È visibilmente fiero della sua dimostrazione di acume sopra la media e fosse per lui oggi potrebbe anche andare a casa che il suo pane quotidiano se lo è guadagnato. Ma spinto dai più nobili sentimenti di dedizione al lavoro decide di rimanere e finire questa pratica. Con ESTREMA calma sia chiaro.
Finita la riscrittura di tutto quello che avevamo già scritto, tira fuori un’altra carta intestata, dove inizia a scrivere in tailandese prendendo spunto dai suoi appunti di poco fa. Quindi quella era solo la brutta??? Ma che dobbiamo fare un compito in classe??
Nel frattempo proviamo a chiedere un telefono per bloccare la carta ma tutti ci offrono i loro cellulari, che inevitabilmente non funzionano. Di telefoni fissi neanche l’ombra. Visto che la cosa va per le lunghe vado a fare un altro giro in città per cercare un telefono.
Nell’hotel dove abbiamo affittato la motorella trovo una ragazza americana al computer che sentendo la mia storia mi offre di poter chiamare con il suo Google Call (servizio a me sconosciuto). Gli spiego che è la mia ragazza che deve chiamare perché la carta è intestata a lei e mi risponde che lei sarà li ancora per una mezzoretta.
Bene, torno da Erika che nel frattempo ha assistito per una trentina di minuti buoni all’esercizio di bella calligrafia del nostro ispettore Callaghan, che finalmente al mio arrivo ci rilascia le varie carte e ci saluta: utilità di questa denuncia pari a zero.

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L’impeccabile compito del poliziotto tailandese

Torniamo di corsa dall’americana ma, manco a dirlo, se n’è andata. Va bene abbiamo capito facciamo da noi. Troviamo un negozio dove poter comprare una SIM che permetta anche chiamate all’estero. E’ una SIM per turisti, probabilmente con durata limitata, ma per il momento va bene così. Chiediamo al proprietario se ha un telefono dove poter mettere la nostra SIM per fare una chiamata importante. Gentilmente ci dà il suo e così finalmente riusciamo a bloccare sta benedetta carta di credito.
Già che siamo lì, diamo un’occhiata anche ai cellulari in esposizione e ne troviamo uno a 150€ con caratteristiche anche migliori del mio Motorola. Lo prendiamo in modo da essere subito di nuovo operativi nelle comunicazioni.
Ora abbiamo veramente fatto tutto, ci siamo rimessi in carreggiata. Mentre torniamo al nostro bungalow abbiamo anche il tempo di rilassarci e di pensare a quanto la nostra forza viene fuori in questi momenti di difficoltà; non ci diamo mai addosso, non ci diciamo che siamo degli emeriti imbecilli, siamo una squadra e questo ci riempie di orgoglio.
A cena ci vogliamo rilassare, vogliamo non pensare a niente, vogliamo coccolarci un po’. Decidiamo di andare a una taverna greca sulla spiaggia che avevamo visto nella passeggiata di ieri ma nonostante facciamo quattro volte avanti e indietro non la troviamo…si sono rubati anche quella?? Pensiamo di essercela sognata ma alla fine all’ultimo passaggio scopriamo semplicemente che è chiusa e nel buio non riuscivamo a riconoscerla. Così mangiamo nel ristorante del “where else?” e ci rilassiamo con buona musica, una biretta fresca e lo sciabordio delle onde.
Stasera è anche la sera del Fool Moon Party che anche se ha casa a Koh Phangan, in quasi tutte le isole viene imitato più o meno bene. Anche qui un locale vicino ai nostri bungalow ne organizza uno e, siccome avevamo deciso di andarci, non ci tiriamo indietro di certo per un piccolo inconveniente.
Quando arriviamo li però l’atmosfera è molto diversa da come ce l’aspettavamo. Più che un rave in spiaggia sembra uno spettacolo serale di un club Valtur. Due ragazzi fanno gli acrobati con bastoni e palle infuocate, con delle figure che oramai si vedono in ogni isola tailandese che si rispetti. Il pubblico è placidamente seduto e ogni tanto esplode in estasiatici “Oohhh” o in timidi applausi. E noi che pensavamo di ballare all night long!!!
Ma quando abbiamo voglia di far qualcosa difficilmente cambiamo idea e quindi ci mettiamo a ballare sulla spiaggia con la musica dello spettacolo. Io che sono un po’ un tronco di cedro quando si tratta di ballare con Erika mi sciolgo, mi fa sentire a mio agio e qualche sculettamento lo faccio anche io. Ci divertiamo come scemi, addirittura qualcuno si unisce a noi per qualche canzone, e passiamo una bellissima serata. Rincasiamo lungo la spiaggia e guardando gli occhi scintillanti della donna che ho accanto mi accorgo di essere fortunato: ho accanto una spalla incrollabile nelle avversità e una compagna insostituibile nella felicità, cosa potrei desiderare di più?
La giornata intensa, con sprazzi di felicità, finalmente volge al termine.
Il giorno dopo non avremmo voglia neanche di scendere dal letto, figurarsi andare a fare un altro giro dell’isola. Ma come si dice, quando si cade dalla bicicletta bisogna subito rimettersi in sella.
Prendiamo quindi la nostra bella motorella e ci dirigiamo verso la costa est dell’isola dove c’è il vecchio villaggio di pescatori. Ovviamente ora è stato notevolmente rimesso a nuovo ma la particolarità delle case che su palafitte si estendono per decine e decine di metri nell’acqua è rimasta pressoché intatta.

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La città vecchia di Koh Lanta

Ci spingiamo anche fino all’estremo sud in cerca di una spiaggetta dove poter fare il bagno ma ne troviamo solo una “artificiale” (con sabbia riportata) di uno sperduto resort. Non ci convince molto quindi decidiamo di farci tutta la strada a ritroso per andare a vedere il famoso parco naturale. Ripassiamo anche di fronte a Bamboo Beach, il luogo del misfatto. Passiamo molto lentamente, un po’ perché ancora brucia, un po’ perché guardiamo con attenzione ai lati della strada, visto mai i ladri avessero buttato qualcosa. Quando arriviamo in corrispondenza di dove eravamo ieri vediamo una strada sterrata che entra nella giungla: il nostro primo pensiero è che sicuramente gli stronzi utilizzino questa strada per appostarsi e poi scappare. Vorrei quasi fermarmi, ma poi penso sia inutile e continuiamo.
Paghiamo l’esoso ingresso e ci tuffiamo in una ripidissima discesa che “speriamo di riuscire a fermarci con questi freni del cavolo che abbiamo!!”.
Parcheggiamo e ci dirigiamo verso la spiaggia e già capiamo quale sarà l’odierna scocciatura. Tutta la zona pullula di scimmie ovviamente avvezze al ladrocinio di generi alimentari dai turisti. La loro tecnica è quella di avventarsi su qualsiasi busta di plastica bianca, spaventare gli umani mostrando i canini e poi scappare con la refurtiva. Che dolci!! Già mi stanno simpatiche.

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La scimmia pronta all’assalto

Raggiungiamo la spiaggia e, dopo aver legato tutto a prova di scimmia ci tuffiamo in mare. Siamo lì che ridiamo e scherziamo con Erika quando con la coda dell’occhio vedo una bertuccia che tenta di rovistare tra le nostre cose. Mi alzo di scatto e scanso in malo modo Erika per correre verso gli asciugamani ma lei, pensando che abbia visto qualcosa di pericoloso in acqua mi si avvinghia impaurita, io perdo l’equilibrio e quasi cado mugugnando qualcosa che lei non capisce e che probabilmente fomenta la sua paura. Finalmente riesco a pronunciare le parole “la ca@@o di bertuccia sulla nostra roba!!” e dopo un attimo di smarrimento finalmente capisce e mi molla.
Correndo sulla spiaggia il simpatico animale in un primo tempo batte in ritirata ma poi torna all’attacco. Gli tiriamo prima una ciabatta poi una noce di cocco ma lei con un balzo salta sul ramo sopra la testa di Erika che con un urlo scappa. Alla fine, probabilmente stanca di tutti questi problemi che sti due umani gli stanno creando, decide di allontanarsi, andando a cercare qualche preda più facile. Ma che giornata rilassante che si prospetta!!

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Le scimmie intente a mangiarsi i cracker rubati ai bagnanti

Dopo il primo attacco frontale non ne seguono altri con la stessa “ferocia” e quindi ci possiamo godere per un po’ la tranquillità di questa baia. Essendo un parco vado a fare un giro con la maschera sperando di vedere qualche bel fondale, peccato che, probabilmente per le correnti che si generano qui, il mare è pieno di sabbia sollevata e la visibilità è di sì e no 50 cm.
Per pranzo ci prendiamo due fried rice, anzi tre perché il primo se lo mangia una scimmia che si avventa sul piatto. Solo dopo questo misfatto, un’addetta alla messa in fuga delle scimmie, armata di fionda stile bullo anni ’60, si è messa di guardia e abbiamo potuto consumare il pasto in tranquillità.
Nel pomeriggio ci siamo goduti qualche assalto di scimmia alle borse altrui con i proprietari che scappavano urlanti. Ad un certo punto un primate ha anche acciuffato un portafogli dalla borsetta di una ragazza, per poi lasciarlo poco più in là dopo aver appurato che non fosse commestibile.

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Gli scogli del parco naturale

A metà pomeriggio decidiamo di rincasare, ma prima c’è da affrontare la tremenda salita per uscire da questo parco!! Faccio guidare Erika così, per una volta, se c’è da saltar giù e farsela a piedi, lo faccio io. Iniziamo che la motorella già stenta, anche lei sa che non ce la farà mai ed è scoraggiata in partenza. Superato l’avvio come il gioco si fa duro, inesorabilmente la motorella piano piano si ferma nonostante il gas spalancato. Salto giù al volo e… non succede nulla! Erika e la motorella sono ancora ferme al palo: ho capito che me tocca spingere!! Dopo una sudata che sembrava che avevo appena concluso la maratona di New York, mi rimetto in sella e ci dirigiamo verso casa.
Quando siamo di nuovo di fronte a Bamboo Bay il desiderio di andare a cercare in mezzo alla striscia di giungla dietro la spiaggia se i bastardi abbiano lasciato qualcosa diventa troppo forte. Dico ad Erika di accostare e a piedi ci addentriamo vediamo un sacco di sentieri che guarda caso finiscono proprio sulla spiaggia, non so se augurarmi di incontrare quei disgraziati o meno. Poi mi ricordo che avevano almeno un coltello e mi dico che se non li incontro è meglio. Giriamo in lungo e in largo nelle vicinanze della spiaggia ma non troviamo nulla e si sta facendo tardi per cui ci incamminiamo di nuovo verso la strada. Prendiamo però il sentiero che taglia dritto dal punto in cui eravamo noi e superata una collinetta vedo qualcosa di rosso e viola in mezzo al verde. Urlo “SI CACCHIO!!!” (non proprio cacchio) e corro verso quelle macchie colorate. Sono effettivamente lo zaino di Erika e il mio marsupio svuotati solo dei portafogli e dei dispositivi elettronici, cellulari ed e-reader. Il mio coltellino Iraniano come detto era dentro al portafoglio e ovviamente lo hanno portato via: maledetto me quando lo ho messo lì dentro. Vabè, passerà.
Siamo contenti di aver ritrovato tante cose date per perse e anche le chiavi della stanza e del motorino ci eviteranno grane con i proprietari.
Rientriamo e dopo una doccia andiamo a fare spesa per i prossimi giorni a Kho Ngai, dove sembra non ci sarà nulla. Lungo la strada incontriamo anche un night market che ci ispira (soprattutto perché a mangiare in questi posti si risparmia un casino) e ci fermiamo. Dopo aver adempiuto a tutti i task andiamo a nanna.
La mattina dopo è tempo di prendere il traghetto per Kho Ngai e lasciare quest’isola ce ci ha regalato gioie e dolori. Di certo non la ricorderemo con estremo piacere ma farà comunque parte del nostro bagaglio di esperienze e, tra qualche tempo, ne rideremo ricordandola.
Compreso nel prezzo del traghetto c’è il pick-up service sulla strada di fronte all’alloggio. Ne approfittiamo per non dover portare tutti gli zaini sulla motorella. Io salgo sul tuk tuk con tutti i nostri bagagli mentre Erika va a riconsegnare la motorella e a comprare le ultime cose, principalmente frutta e verdura. Considerando che il suo senso dell’orientamento è alto come la mia attenzione a non perdermi le cose, che qui guidano come scemi e che in aggiunta ci sarà un grammo di benzina nel serbatoio, non mi sento troppo tranquillo. Io con il tuk tuk faccio le fermate di praticamente tutte le guesthouse sulla strada e ci metto quindi un’eternità; durante il tragitto sono un impaziente di arrivare al molo, ma poi quando svolto l’angolo e trovo Erika sana e salva che sta salutando il proprietario dell’hotel dove abbiamo noleggiato la motorella un estremo senso di sollievo mi pervade.
E sta incosciente neanche si era fermata in un distributore a mettere benzina! Dopo dice che uno sta in pensiero!

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