Thakek - Il leggendario Loop (parte II)

31 Marzo - 02 Aprile 2016

La mattina ci muoviamo sempre per le 10 oramai nostra ora di partenza fissa. Decidiamo di non lasciare le cose in questa guesthouse perché non abbiamo idea di cosa ci riservi il futuro, anche se probabilmente torneremo qui a Khoun Kham a dormire. Arriviamo nell’area protetta delle grotte verso mezzogiorno: è come un parco naturale, si paga per l’ingresso (molto poco) e poi si paga per affittare la barca che ti porta all’interno della grotta (non poco ma di buono c’è che non occorre contrattare il prezzo è fisso). Avevamo letto qualcosa su queste grotte ma avendole viste di tutti i colori (letteralmente) fino ad ora non sapevamo cosa aspettarci: il solito tunnel illuminato malamente con le poche stalattiti e stalagmiti rimaste? Non eravamo molto entusiasti all’idea. All’ingresso della grotta c’è un bel laghetto perfetto per un bagno ristoratore dopo il giretto; ci appuntiamo mentalmente l’informazione e iniziamo il giro.

 

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Ecco dove ci faremo un bagno dopo le grotte

Prendiamo le nostre torce frontali ci infiliamo i giubbotti salvagente d’ordinanza e partiamo. Più ci allontaniamo dalla bocca di ingresso e più tutto cade in un oscurità accecante, rotta soltanto dai piccoli fasci di luce delle torce: i nostri appena sufficienti a farci scorgere qualcosa, quello del barcaiolo molto più potente ma concentrato esclusivamente sulla rotta di fronte a noi. La barca corre veloce, quasi troppo, considerando l’ambiente, tra continue svolte, allargamenti e restringimenti di questo vero e proprio fiume sotterraneo.

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Al buio tra le grotte

Ed è proprio questa la grande differenza che fa di questa grotta qualcosa di unico nel suo genere: ti senti trasportato nelle viscere della terra, lungo un fiume quasi da racconto epico, non riesci a vedere quasi nulla ma questo rende il tutto enormemente più affascinante. Poco dopo la partenza c’è anche un tratto con le solite (poche) stalagmiti illuminate in modo stravagante (per usare un eufemismo) e si ha paura che il tutto termini li. Invece poi si risale sul barchino e si riparte.

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Anche qui un po’ di luce tamarra

Immagino la bellezza di percorrere questa via con una barca a remi o con un kayak senza il rombo assordante di questi fuoribordo laotiani ma noi ci accontentiamo anche così. La corsa sembra lunghissima e non ci si aspetta che possa durare così a lungo. Poi di colpo dietro una svolta si rimane nuovamente a bocca aperta nel vedere in lontananza la luce: una bocca d’uscita, simile a quella d’ingresso fa, di questo fiume sotterraneo, una fantastica via di comunicazione tra i due lati della montagna.

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All’uscita della grotta

Chissà se in passato è stato mai usato per questo. Una volta usciti a riveder la luce si “deve” visitare un villaggio (ma noi abbiamo visto solo due grandi minimarket con tutto quello che il junk food occidentale e orientale possa mai concepire) prima di riprendere la via del ritorno. Manco a dirlo dopo 5 minuti ci era già venuta l’orticaria di questa piccola trappola per turisti. Il percorso di ritorno segue lo stessa via di quello di andata ma non per questo è meno suggestivo.

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Il ritorno nell’oscurità

A volte occorre scendere per superare piccole rapide o tratti in cui il fiume è troppo basso e la barca tocca il fondo, ma fa tutto parte di questa piccola avventura. Uscendo decidiamo di fermarci a fare il bagno nel laghetto di fronte alla cava. Qui incontriamo anche qualche esponente del gruppetto di australiani che stanno facendo il loop, più una coppia di simpatici spagnoli con i quali scambiamo qualche parola. Quando ripartiamo è ora di pranzo ma troviamo velocemente un posto carinissimo dove mangiare con un terrazzino in legno vista fiume. Qui nel villaggio vicino alle grotte ci sono moltissime guesthouse per la notte ma noi decidiamo di proseguire perché vogliamo andare a vedere le cascate…che poi non ci riusciremo è un’altra storia, infatti perché tornare indietro sulla strada già percorsa, conosciuta, asfaltata, dritta quando sull’applicazione di navigazione del telefonino c’è una traccia tratteggiata (ad indicare quanto meno una strada dissestata) che gli corre parallela?!? Che domande! Ovviamente decidiamo di tentare la sorte e avventurarci per la strada sconosciuta.

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Che l’avventura abbia inizio!!

Già l’avvio ci dovrebbe dare un avviso di quello che ci aspetta, un piccolo sentiero si distacca dalla strada principale ed è palese che non viene usato più da nessuno se non da qualche trattorino o motorella locale. Ma noi incuranti di ciò proseguiamo e dopo neanche 10 metri sono costretto a scendere (perché guidava Erika) per superare una zona piena di fanghiglia. Quindi a questo punto siete tornati indietro?? Manco per idea! Proseguiamo su questa traccia di sentiero seguendo sul gps le varie svolte. Ci addentriamo dentro una piccola foresta e tra sali scendi in una strada sabbiosa arriviamo in una zona completamente coltivata a risaie. O meglio, che qualche mese fa erano risaie ma ora sono solo dei campi secchi. Il problema è che la strada passa attraverso questi campi e probabilmente per farli l’hanno sacrificata. Tanto c’è la strada principale, a chi dovrebbe servire questa?? Ma noi testardi continuiamo. Passiamo con la motorella sui muretti che delimitano le varie vasche delle risaie e a zig-zag e aprendo e richiudendo una recinzione superiamo anche questa zona. Ora viene il bello perché c’è un piccolo fossetto e la strada un tempo lo attraversava ma, non essendo più una strada, nessuno si è sognato di fare manutenzione e ora è diventato un piccolo ostacolo da motocross. Ma che noi ci scoraggiamo? Non se ne parla! Erika, che non molla più la guida della motorella (e io la lascio fare perché si muove bene ed è molto sicura di quello che fa) con me da terra a fargli da navigatore e a piccoli colpi di freno e di gas supera sia la discesa e la salita in scioltezza. Qualche strusciamento del cavalletto ma speriamo che regga!! Dall’altra parte ancora risaie secche, ma stavolta Erika non ha voglia di attraversarle sui muretti e le taglia dritte per dritte tra i miei improperi divertiti ad ogni colpo secco del povero ammortizzatore posteriore. Il nostro pensiero è sempre rivolto al povero Mr. Ku che in questo momento starà provando un agitazione che non capirà, ma che noi sappiamo essere dovuta alle tremende sollecitazioni che stiamo facendo provare alla sua povera motorella. Superati anche questi campi finalmente sembra che la traccia porti in una strada ben visibile, il problema è che è nella giungla, che sentiamo i brontolii del cielo nuvoloso e che presto scopriremo essere estremamente sabbiosa! La stradina è strettina ma rispetto a quello affrontato fino ad ora ci pare una sciocchezza, fino a che non arriviamo, appunto al primo tratto veramente sabbioso. Dopo un piccolo scollinamento la ruota anteriore ci finisce per buoni quindici centimetri dentro la sabbia e l’assetto della motorella viene un po’ compromesso ma Erika è bravissima a tenerla in pista, nonostante la sorpresa. Il problema è che per non cadere ci siamo dovuti fermare e ora non c’è verso di ripartire nella sabbia. Scendo e Erika senza il mio peso riesce a superare l’impasse. Proseguiamo a lungo su questa strada e parecchie volte rallentiamo, ci fermiamo o sbandiamo leggermente per un tratto sabbioso o un insieme di rami caduti. In tutto il tragitto incontriamo solo un tipico mezzo agricolo di queste zone che consta di una motozappa agganciata a un carrello. Il guidatore e il passeggero ci guardano stupiti ma sorridenti, noi gli diciamo di non raccontare niente a Mr. Ku, visto mai lo conoscessero e poi al grido di “con la motorella di Mr. Ku” ridendo come imbecilli, proseguiamo. La strada finisce quando la vista si apre su dei campi coltivati, si fa decisamente più dissestata, ma il fondo duro ci restituisce un po’ di serenità. Passiamo praticamente dentro casa di una famiglia locale che interrompe tutte le attività per guardarci (ma sempre sorridenti e stupiti) e salutarci con la mano e finiamo in uno stradone larghissimo di terra rossa compatta.

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Ma che è questa autostrada??

Nel telefono non c’è ovviamente differenza tra la strada appena percorsa e questa ma in realtà è come passare da un sentiero di montagna ad una autostrada: da un momento all’altro ci aspettiamo un casello. Dopo l’esperienza acquisita in fuoristrada Erika qui si sente a suo agio e gli dà giù gas come se non ci fosse un domani, in quattro e quattrotto siamo in prossimità della strada asfaltata felici e soddisfatti per la deviazione, nonostante si sia fatto troppo tardi per la cascata. Ma di cascate ne abbiamo viste mille, mentre un esperienza cosi ce la ricorderemo a lungo! Proprio gli ultimi metri prima dell’asfalto dei ragazzini annoiati decidono di invadere la carreggiata correndo con gesti di scherno rivolti a noi: Erika è costretta a una brusca shicane per evitarli ma così facendo andiamo a finire nella zona centrale della strada piena di buche profondissime. Sarò sincero: pensavo che saremmo finiti per terra. Mi aggrappo a Erika tanto quasi da lasciargli quasi i segni, chiudo gli occhi, sento tante botte nel sedere ma, ehi, siamo ancora in piedi. Non ci credo. Ci siamo giocati un bel Jolly, maledetti bambini annoiati. INSERIRE LINK VIDEO Torniamo a Khoun Kham e cerchiamo una guesthouse più comoda di quella di ieri sera. La troviamo allo stesso prezzo ma decisamente di un altro livello. Alle volte non ci fermiamo a chiedere alle guesthouse più belle perché immaginiamo che i prezzi siano non in linea con quanto vogliamo spendere noi, ma questo ci dimostra che è sempre meglio chiedere, al limite si esce come si è entrati! La mattina del giorno successivo ci muoviamo con calma: il programma di oggi prevede gli ultimi 100km che ci separano da Thakhek con solo una sosta intermedia ad una “blue lagoon”, descritta ovunque in maniera molto suggestiva. Il tempo non sembra dei migliori ma almeno non c’è quel sole a picco che ti ustiona qualsiasi lembo di pelle lasciato scoperto. Oggi sono di guida io visto che Erika ieri non ha mollato un secondo il manubrio della motorella. Quando ci reimmettiamo nella statale, dopo un tratto di strada quasi divertente se si avesse tra le mani una vera moto, i nuvoloni si sono fatti sempre più neri e l’odore acre della pioggia ci inonda le narici. La strada ora è tutta dritta e non ci spaventa affatto prendere un po’ di pioggia, ma qui quando è ora non si tratta mai di una pioggerellina leggera ma sempre di scrosci d’acqua impetuosi. Di baracchini con una tettoia sotto cui ripararsi ce ne sono ogni kilometro e ci rifugiamo un paio di volte in questi, durante gli acquazzoni più violenti. In uno di questi ci rifocilliamo anche con una zuppa calda di noodles che ci toglie anche il freddo della pioggia. Siamo quasi in dubbio se andare alla laguna con questo tempo ma alla fine, vedendo qualche spiraglio di sole decidiamo di tentare: abbiamo imparato che qui non ci vuole nulla a passare dalla pioggia al sole infuocato. E difatti quando arriviamo al bivio per la laguna il clima è tornato torrido e il sole ha cominciato di nuovo a picchiare forte. Ci togliamo i giacchini in goretex che ci eravamo portati e proseguiamo. La strada non è asfaltata ma è comunque ottima e non facciamo fatica ad avanzare, ma come al solito non facciamo in tempo a formulare questo pensiero che ci ritroviamo su una salita ripida, sconnessa e piena di sabbia. Io non valuto adeguatamente la difficoltà del tratto, rapportata alle possibilità della motorella con due persone sopra, e a metà ci blocchiamo in una rocambolesca perdita di equilibrio. O meglio cerchiamo di bloccarci, perché anche con entrambi i freni tirati le ruote della motorella scivolano sui sassi smossi e la sabbia e sembra non ci sia modo di arrestarne la discesa. Inizio cosi di nuovo a dare gas mentre Erika con un balzo scende di sella, la motorella piano piano rinizia la salita e tra uno scossone e l’altro arrivo in cima. Erika se la fa a piedi sotto un sole cocente e con un’umidità asfissiante. Non vediamo l’ora di giungere all’acqua. Dopo la salita è la volta della discesa, meno ripida ma comunque degna di nota. Arriviamo finalmente alla blue lagoon e ci tuffiamo grati in questo laghetto. Come al solito ci sono molti laotiani in relax come fossero in spiaggia al mare (anche se vestiti con jeans e maglietta anche per farsi il bagno). Effettivamente la laguna rispecchia quanto di lei avevamo letto. E’ immersa in una cornice di varie sfumature di verde, grazie alle fronde degli alberi che si posano, per tutto il contorno, sul pelo dell’acqua blu cobalto. I fiori rossi e arancioni che ad ogni folata di vento cadono dalle chiome, si posano delicatamente sulle acque del lago aggiungendo una nota di colore quasi irreale per la sua bellezza. Gli stessi alberi sono immersi nella laguna con i fusti che si diramano sotto e sopra la superficie dell’acqua, generando un panorama lacustre a cui i nostri occhi non sono abituati. Ma oltre tutto questo, l’acqua è fresca e buttarcisi dentro è una vera goduria. Prendiamo anche in affitto una ciambellona fatta con la camera d’aria di un camion, che è il passatempo preferito dei laotiani. Con questa zattera improvvisata ci spingiamo nella parte più “selvaggia” del lago dove si può nuotare tra i tronchi degli alberi, sotto le chiome colorate di verde e rosso.

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Una laguna meravigliosa

Stiamo qui per qualche ora riposandoci e cincischiando sulle rive della laguna. Ci viene anche offerto un bicchiere di birra gelata che non possiamo rifiutare. Poi quando ci sembra che stia arrivando un po’ troppa gente ci rimettiamo in cammino e velocemente raggiungiamo Thakhek.

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Il leggendario loop si volge al termine

Qui ancora con la motorella trasferiamo gli zaini dalla guesthouse dove abbiamo dormito la prima notte a una più vicina alla stazione degli autobus in modo da non dover prendere un tuk tuk l’indomani. Lasciamo poi la motorella a Mr. Ku che probabilmente non sperava più di rivederla sana, e con una lacrima, come per ringraziare una fedele compagna di viaggio un po’ maltrattata, ci incamminiamo verso la nuova guesthouse. Nella strada periferica che percorriamo ci imbattiamo nel più grande mercato di cocomeri mai visto. A quest’ora è tutto spento ma i marciapiedi sono cosi traboccanti di questi frutti che le donne dormono li per non l’impossibilità, o comunque la non praticità, di trasportare questo carico tutti i giorni. Vinti dalla voglia ce ne compriamo uno e ce lo facciamo spaccare. Il sapore è fantastico, zuccherino e succoso al punto giusto, gli si perdona anche il fatto di non essere proprio fresco. Iniziamo a mangiarlo dicendoci che il resto potevamo mangiarcelo a colazione l’indomani ma poi, vuoi la golosità, vuoi la sfida di finirsi un cocomero intero, vuoi la gioiosa stupidità delle sere d’estate, ce lo mangiamo fino all’ultima fetta. Gli ultimi metri li facciamo piegati in due dalle risate con una pancia gonfia che sembra scoppiarci da un minuto all’altro ma che, nel dolore che ci comporta la risata, ci fa ridere ancora di più. Ci stendiamo nel letto stanchi ma contenti dopo aver anche lavato tutti i vestiti di questa bella avventura, che, visto la minaccia di pioggia, non si asciugheranno mai.

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