Arequipa - Il condor e il dolore ai polpacci

24 - 29 Ottobre 2019

Nel viaggio notturno apprezziamo il maggiore comfort dato dal servizio VIP, ma crediamo fortemente che le sospensioni di questo autobus debbano essere riviste. Mi sveglio più di una volta nel mezzo della notte chiedendomi se siamo finiti in un rally, scoprendo invece di essere su una perfetta strada asfaltata. Nonostante questo, sembra di essere in un frullatore. Una delle ultime volte, con il sole oramai che sta facendo capolino all’orizzonte, vedo che il freddo esterno ha fatto gelare la condensa nel vetro e all’esterno si estende un paesaggio lunare. Di color rosato per via dell’alba, questo deserto contornato di montagne è l’ennesimo peculiare e inaspettato paesaggio del Perù.

Arriviamo a Arequipa di mattina presto e prendiamo un taxi per l’ostello. Ancora non sappiamo se potremo fare un check-in così presto di mattina. Fortunatamente dobbiamo aspettare solo una mezz’ora e poi la camera è pronta. Ci facciamo una doccia e usciamo a farci una passeggiata. Come al solito dopo un viaggio notturno siamo entrambi irritabili, ma oramai lo sappiamo e non ci arrabbiamo tra di noi, semplicemente lo accettiamo e aspettiamo di poterci riposare un poco. Andiamo a piedi alla piazza principale che ci stupisce, anche se l’architettura coloniale non è quello che ci affascina di più in questo viaggio. Un lato intero della piazza è occupato dalla enorme facciata della cattedrale. Come la maggior parte degli edifici di qui, la pietra da costruzione è la pietra vulcanica bianca, che rende questa città in qualche modo eterea e che la fa risaltare rispetto al paesaggio desertico che la circonda.

Arequipa
Una delle più belle plaza des armas

  Dietro ai due campanili svetta però il vero protagonista dello skyline cittadino: il più alto dei vulcani che circondano la città. Insieme ad un’altra catena montuosa poco lontano, sono un vero spettacolo da ammirare quando spuntano d’improvviso dietro a un angolo o sopra un palazzo. 
Con il torpore che ci accompagna, andiamo a sederci in un bar dove ci prendiamo due succhi di frutta mentre scriviamo un po’. 

Arequipa
Antichi mestieri

  A pranzo ci dirigiamo al mercato dove per pochi soles proviamo il piatto tipico arequipeno, il recoto relleno con la pastel de papas. Praticamente un peperone ripieno di carne e verdura e una torta di patate e formaggio. Finalmente qualcosa di diverso rispetto ai soliti piatti andini!!

Arequipa
Siamo sempre al mercato!!

  Facciamo poi un giretto per il mercato e compriamo un po’ di frutta per la colazione di domani. Uscendo ci incamminiamo verso il monastero di Santa Catalina, una delle più belle chiese del Perù. L’estensione della chiesa e degli annessi edifici è immensa. Un lungo muro bianco di pietra vulcanica ne delimita l’area. Ci sediamo a un caffè a fianco della chiesa e ci riposiamo un po’ facendo i nostri lavoretti al pc. Oggi non siamo proprio in vena di turismo. 
Stasera invece vogliamo andare a mangiare in un posto carino, anche per festeggiare i due mesi di matrimonio, ricorsi ieri. Scegliamo un ristorante che ha un menù degustazione di specialità peruviane. Ci mettiamo in ghingheri, che significa con tutti i vestiti comperati in viaggio, e andiamo. Il locale è veramente carino, in una antica casa arequipena. Ci sediamo in un tavolo nella corte interna dove un braciere arde con alcune pentolone di coccio in cima. Decidiamo di prendere il menu da 4 portate invece che 8 per non esagerare. Assaggiamo una insalata con gamberetti, tipica della costa, il porcellino d’india o cuy, una zuppa di maiale, che qui si mangia la domenica a colazione, e la carne di alpaca su un letto di quinoa. Sfortunatamente la carne di alpaca è stata quella che ci è piaciuta di più. Erika non riesce a capacitarsi come un animale così carino sia anche così buono!! 
Torniamo a casa soddisfatti e ci buttiamo a letto distrutti a riposare.

Il giorno seguente, dopo una rilassata mattinata, facciamo un giro al terminal terrestre per capire come arrivare a Cabanaconde domani per il nostro trekking sul Canyon del Colca. Ci sono diverse compagnie con servizi alle 4, 4e30 e 5e30 di mattina per Chivay, da cui poi si possono prendere dei collectivos per Cabanaconde. I tour turistici sappiamo che partono alle 3e30, come anche i diretti per Cabanaconde partono a quell’ora. 
Dopo molto ragionare decidiamo di partire alle 5e30 perché non vogliamo svegliarci in piena notte. Pranziamo con un almuerzo e andiamo poi di nuovo al mercato per comprare il necessario per farci i panini per il pranzo di domani e qualcosa per la cena di stasera. 
Torniamo poi verso l’ostello per preparare gli zaini. Dopo una cena veloce ci mettiamo a letto che domani ci dobbiamo comunque svegliare molto presto.

La sveglia suona alle 4 e fatichiamo a staccarci dal letto. Andiamo alla stazione degli autobus e prendiamo il collectivo per Chivay delle 5e30. Ci addormentiamo subito e, anche se il collo assume pose innaturali, quasi da spostamento vertebre, riusciamo a riposarci un po’. 
Ogni tanto ci svegliamo e apprezziamo il particolarissimo paesaggio che abbiamo di fronte. Siamo in un altopiano desertico ricoperto di arbusti gialli, contornato da montagne altissime e anch’esse brulle. Il contrasto con l’azzurro del cielo è da togliere il respiro.

Arequipa to Chivay
Il deserto verso Chivay

  Incontriamo anche i famosi vicuna, parenti dei llama, ma con una lana ancora più pregiata degli alpaca. Sono dolcissimi nel loro brucare in branchi su queste pianure infinite (ma i nostri preferiti restano comunque gli alpaca).
Arriviamo a Chivay con una mezz’ora di ritardo e scopriamo che non c’è niente di ufficiale che parta prima di una ora e mezzo per Cabanaconde. Troviamo un collectivo che ci può fare da taxi per 60 soles. ci sentiamo un po messi alle strette, perché abbiamo 4 o 5 ore di cammino almeno da fare e 1200metri di dislivello in discesa. Non vorremmo arrivare a notte inoltrata. Forse siamo un po’ troppo frettolosi in questa decisione ma, alla fine, 15 euro non ci cambiano la vita e decidiamo di andare.
Lungo la strada il nostro autista si ferma per farci pagare il salato ingresso al canyon. Sulla maggior parte dei blog, avevamo letto che non c’erano né controlli né posti di blocco, mi sa che oggi siamo proprio sfigati!! 
Dall’altro lato, però, siamo fortunatissimi quando ci fermiamo al cruz del condor, e uno di questi meravigliosi uccelli si alza in volo da un precipizio sotto di noi e inizia a volteggiare nel centro del profondissimo canyon. Sfruttando le correnti ascensionali finisce per planare proprio sopra di noi ad ali spiegate. Maestoso!

Cruz del condor
Il condor che si mostra nel suo splendore!

  Anche il canyon da qui è stupefacente, con le sue montagne a picco, con pareti che sembrano non finire mai, e il fiume serpeggiante sul fondo. 

Canyon del Colca
A bocca aperta...

  Finalmente arriviamo a Cabanaconde e, dopo un veloce spuntino, partiamo per la nostra avventura, direzione Llahuar!
Usciamo dalla cittadina sotto il sole cocente dei 3200 metri di altitudine e seguiamo l’altipiano che costeggia i limiti del canyon in leggera discesa su un facile sentiero. Arriviamo ad un punto panoramico dove ci chiedono i biglietti; rimaniamo stupiti ma evidentemente hanno aumentato i controlli e quindi non c’era verso di evitare di pagare questi soldi. La vista dal punto panoramico è infinita.

Canyon del Colca
Partenza!!

  Continuiamo a scendere fino ad arrivare ad una valle perpendicolare al canyon principale. Il sentiero inizia a serpeggiare con zig-zag che sembrano non finire mai verso il fondo di questa valle. Superato un ponticello, poi, un tratto relativamente pianeggiante ci riporta sulle pareti laterali del canyon principale e ci da un po’ di respiro alle ginocchia.
Da qui è solo lacrime e dolori articolari per altri 700 metri di discesa implacabile. Lo scenario continua ad essere bellissimo ma, sapendo che quel vuoto che vediamo sotto di noi dovremmo in qualche modo colmarlo passo dopo passo, più che un senso di assoluto ci pervade un presagio di dolori. Come ultima beffa abbiamo anche un paio di km in leggera salita e un finale di nuovo in ripida discesa. Le nostre gambe sono KO, solo la tigna ci ha permesso di arrivare.

Canyon del Colca
Una discesa impegnativa

  Dobbiamo essere sinceri: scendendo per il sentiero non capivamo il motivo di tanto entusiasmo nel descrivere questo trekking. Il paesaggio ci sembrava più bello da lassù in cima e non vedevamo nessun valore aggiunto nello scendere.
Ora che invece siamo arrivati a Llahuar, in questa piccola oasi fatta di piccole case di pietra, nel punto in cui due fiumi di montagna si gettano l’uno nell’altro e queste pareti di roccia ci sovrastano così maestosamente, tutto ci appare più chiaro. Peccato solo per l’eco-mostro che stanno costruendo proprio di fronte a queste casette di pietra: un edificio di due piani, squadrato, in cemento armato per ospitare un nuovo “eco” lodge. Orrendo. Per fortuna ancora si possono apprezzare panorami unici senza che l’occhio venga disturbato dalla vista di quello scempio. Problemi del turismo di massa di cui anche noi facciamo parte.
Neanche sto a dire che noi andiamo a cercare una stanza nel villaggetto di case di pietra e veniamo accolti da un ragazzo molto gentile che ci accompagna in una casetta graziosissima. Presa. Questo piccolo complesso offre, su più terrazze, anche una piccola piscina di acqua termale e un paio di amache su un balconcino panoramico.

Canyon del Colca
E’ dura la vita qui :)

  Dopo una bella doccia ci andiamo a stendere subito sulle amache a leggere mentre il sole si avvicina al tramonto. Poco prima che il cielo inizi a diventare rosato ci immergiamo nell’acqua calda della piscina. Con noi ci sono tre coppie di tedeschi che si lamentano che l’acqua non sia proprio caldissima. Noi ipotizziamo che questa non sia acqua di “sorgente” ma, quanto più, provenente da un boiler e ci scherziamo su per un po’. Ma alla fine “che ce frega??”, l’importante è che sia un po’ calda.
Il problema ce lo abbiamo quando usciamo e il sole è già tramontato: battiamo i denti e ci rifugiamo subito in camera a scaldarci. Iniziamo ad essere veramente distrutti e non vediamo l’ora che la cena sia pronta. Ma manca ancora un’ora!!! Ci stendiamo sul letto cercando di non addormentarci, fino a che il ragazzo ci chiama che la zuppa sta per essere servita. Ci fiondiamo al tavolo e, per ingannare il tempo, ci sfidiamo a briscola e scopa...ma quando arriva sta zuppa??
Finalmente dalla cucina iniziano a uscire dei piatti, che non fanno in tempo ad arrivare sul tavolo che già ce li siamo spazzolati. Anche il secondo ce lo finiamo in un battibaleno. Giusto il tempo di lavarci i denti e dare uno sguardo al cielo stellato sopra di noi e ce ne andiamo a nanna.

Il giorno dopo ci alziamo con le prime luci dell’alba, quando il sole non ha ancora fatto capolino dalle creste. Le gambe rispondono abbastanza bene ma i polpacci faticano un poco. Facciamo colazione e facciamo due chiacchiere con i tedeschi che son li. Ci dicono che loro si dirigeranno alle cascate in una valle laterale perché più bella del canyon centrale. Non mettiamo in dubbio questo, ma significherebbe fare in salita la via che abbiamo fatto in discesa. Oltre ad essere la più tosta non ci piace rifare la stessa strada. Noi invece siamo indecisi se andare a San Juan, più lontano ma forse più autentico, o Sangalle, più turistico, più vicino ma con delle piscine da sogno. Il fatto che il canyon lo abbiamo visto e vissuto nella sua autenticità a Llahuar ci fa propendere per la seconda opzione.
Oggi, al contrario di ieri si parte tutto in salita. Principalmente seguiamo la strada principale, sterrata, che collega i vari paesini della valle. Spesso facciamo dei lunghi tagli per dei sentieri, attraversando villaggetti sperduti. Saliamo per oltre 700 metri fin ad arrivare ad un naso di roccia che esce dalla parete della montagna. Da qui, oltre ad ammirare la parte più aspra del canyon in lontananza, possiamo anche vedere quello che ci aspetta di fronte a noi: un’altra lunghissima discesa di 600 metri.

Canyon del Colca
Una breve sosta per ammirare il panorama

  Come muoviamo i primi passi di nuovo in discesa sento che “mi si accendono almeno 3 spie motore”, come dico scherzando a Erika, che si fa delle grandi risate. Polpacci, ginocchia e quadricipiti sono in fiamme. Le caviglie ogni tanto mandano un picco. Niente male!!
Dopo un po’ ci scaldiamo di nuovo e riusciamo a camminare decentemente. Dall’alto vediamo almeno 5 piscine nella piccola oasi di Sangalle. Non vediamo l’ora di tuffarci in una di quelle!

Canyon del Colca
La nostra meta vista ancora dall’alto!

  Arriviamo poco prima di pranzo e ci fermiamo alla primo ostello che incontriamo. I due proprietari non ci fanno una bella impressione ma ci fermiamo ugualmente dato che all’inizio i peruviani sembrano tutti scorbutici. E invece questi erano proprio stronzi o almeno, poco inclini a stare al pubblico. Non ci vogliono dare la chiave subito perché sta lontana, dobbiamo dire immediatamente se vogliamo il pranzo, pagare subito ecc ecc. Decidiamo che almeno il pranzo lo andiamo a fare altrove. Ci facciamo due passi per l’oasi e troviamo un altro ostello con persone più gentili alle quali lasciamo volentieri i soldi del pranzo. Il pomeriggio lo passiamo in piscina a fare gli scemi, a prendere il sole e a leggere. Ci rilassiamo nel posto più bello del nostro ostello. La nostra camera infatti non è delle migliori, anche se devo dire che non l’abbiamo strapagata.

Canyon del Colca
E anche oggi si chiude in bellezza!

  La sera ci godiamo un tramonto infuocato, buttiamo giù degli spaghetti scotti, io, e del pollo alla piastra, Erika, e ce ne andiamo a letto dopo aver combattuto con 10000 falene perché la luce della nostra stanza era accesa e tutte quelle della valle erano lì.

Il grande giorno della risalita si apre con una discussione della signora perché non gli avevamo detto a che ora volevamo la colazione. Con il mio spagnolo italianeggiante gli dico, alterato non c’è male, che se era tanto importante come informazione poteva chiedercelo! Partiamo verso le 7e30 e al passo da mulo più che da montagna, iniziamo a risalire gli infiniti zig-zag della mulattiera.

Canyon del Colca
Il giorno X...1100 m di dislivello in salita!

  Con passo regolare senza quasi mai fermarci, se non per bere o mangiare qualche snack, vediamo Sangalle allontanarsi sempre più, mentre conquistiamo metri e metri dei 1100 che dovremo fare. In netto anticipo sulla tabella di marcia, alle 10e30 arriviamo, neanche troppo distrutti, a Cabanaconde. La salita ci è decisamente più congeniale che la discesa!

Canyon del Colca
Ce l’abbiamo fattaaaaa!!!

  Alle 11e30 c’è un diretto per Arequipa che non speravamo di riuscire a prendere, e invece, dopo una sosta cibo, ci saltiamo su.

Canyon del Colca
Bella la signora!

 

Canyon del Colca
Un ultimo sguardo al Canyon del Colca

  Ci facciamo un lunghissimo e particolarmente snervante viaggio in autobus, che pensavamo non finire mai e verso sera arriviamo in città. Altri 40 minuti di colectivo e siamo finalmente nel nostro ostello. Dopo una veloce doccia, decidiamo che vogliamo mangiare bene, dopo tre giorni tra i monti. Andiamo quindi in uno dei migliori ristoranti di Arequipa: Zig-zag (come se non ne avessimo fatti abbastanza), un mix peruviano-francese.

Canyon del Colca
Imbavagliato!

  Spendiamo abbastanza ma siamo veramente soddisfatti di quello che mangiamo. Era tanto che non ci coccolavamo dal punto di vista culinario e siamo felici.

La mattina dopo ce la prendiamo con calma e arriviamo alla stazione degli autobus alle 10e30. Come al solito ci facciamo incastrare con un bus che parte in 10 minuti e quindi dobbiamo, di corsa, lasciare i bagagli, andare al bagno, comprare il pranzo e controllare che effettivamente i bagagli vengano caricati nel nostro autobus. Un incubo!
Però abbiamo preso i posti VIP perché quelli normali erano finiti e ci godiamo quindi un comodissimo trasbordo fino a Puno, sul lago Titicaca!!

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