Dalla Colombia all'Ecuador - La prima frontiera terrestre

18 - 20 Settembre 2019

Sono stati giorni intensi, fatti di lunghe ore di attesa e ancor più lunghe ore di autobus, panorami mozzafiato e velocità spericolate, pranzi al sacco e nelle fermate improvvisate. Partiamo da Salento prestissimo e ci dirigiamo ad Armenia con un colectivo che porta a scuola e a lavoro i pendolari. Qui non abbiamo neanche il tempo di fare colazione che veniamo catapultati su un furgone per Popayan.

Il guidatore ci fa una corte sfrenata e ci giura che ci fermeremo a Cali per mangiare qualcosa (a tre ore da qui). Fortunatamente abbiamo qualche scorta con noi quindi accettiamo.
Il panorama non ci riserva niente di nuovo ne di particolarmente emozionante, solo tanto verde e un paesaggio di dolci montagne coltivate. Anche guardando fuori del finestrino mentre ci avviciniamo a Cali non rimaniamo molto sorpresi. Abbiamo fatto decisamente bene a scegliere Salento invece di Cali. Basta grandi città!! Il bus si ferma e mangiamo qualcosa. Ci meravigliamo anche dei prezzi piuttosto bassi!

Dopo altre 3 ore di furgone arriviamo finalmente a Popayan, fermata intermedia del lungo trasferimento verso l’Ecuador.
Il nostro ostello è proprio all’inizio di un antico ponte per il centro. Mi fa subito una bella impressione e ricorda in qualche modo i ponti medievali sparsi nei paesini d’Italia.

Popayan
In posa sul ponte!

Le bellezze architettoniche della città si fermano qui però. C’è poco altro da vedere e dopo un’oretta in giro torniamo in stanza a riposarci e a farci una doccia.

Popayan
Una veloce passeggiata a Popayan

Per cena seguiamo il consiglio della ragazza alla reception e ci troviamo nel miglior ristorante della città, un po’ kitsch e caro per i nostri gusti ma non abbiamo voglia di cercare altrove. La mia “Carne Asada” è ottima, peccato per la salsa di prugne abbondantemente versata sopra. Comunque me la sono finita!

La mattina seguente prendiamo un bus molto presto per Ipiales che da qui dovrebbe distare 8 ore. Come al solito la scelta della compagnia dipende principalmente dall’orario di partenza: la prima che ci dice che il bus sta per partire la prendiamo. Questo comporta che non abbiamo idea della comodità o qualità dei bus. Delle volte va bene, delle volte si finisce su dei furgoncini piuttosto scomodi. Questa volta siamo finiti nel secondo caso.
Abbandoniamo quasi subito la strada buona per inerpicarci su una stretta via tutta curve. Ora capiamo perché ci si mettono 8 ore per fare 300 km!! Il conducente sembra però stranamente calmo e il viaggio procede confortevole. Anche il paesaggio è molto migliore rispetto a ieri con ampi scorci su vallate infinite, circondate da montagne altissime. Stiamo attraversando le Ande!! Ammesso che quassù in Colombia si chiamino così, non lo sappiamo.
In discesa poi tutto cambia, sorpassi a non finire e giù a tutta velocità. Capiamo che l’unico motivo per cui andava piano è perché il trabiccolo su cui siamo non aveva abbastanza motore per superare i camion in salita.
Ci fermiamo a pranzo in una area di sosta con taverna annessa. Il cibo è buono ed economico come al solito. In più c’è una bella vista sulle montagne intorno.

From Popayan to Ipiales
Il tipico almuerzo durante i viaggi in autobus

Il viaggio prosegue con i nostri amici che oramai sono diventati quasi una famiglia tanto il tempo trascorso insieme.
Arriviamo a Pasto verso le 4 e ci fermiamo per un’oretta. Il conducente e l’assistente pensavano scendessimo qua...e invece no cari miei! Staremo insieme per ancora un paio d’ore. O almeno così pensavamo!! Ripartiamo da Pasto e tempo mezz’ora siamo di nuovo fermi. Ci sono dei lavori in corso e solo una corsia è percorribile. Come abbiamo oramai imparato il senso di marcia viene invertito ogni mezz’ora quindi ci sarà un bel po’ da aspettare!!

Siamo esausti e non ce la facciamo più a stare seduti ma non possiamo fare altrimenti, accendiamo un po' di musica e chiudiamo gli occhi. Quando il tappo si sblocca l’autista decide di aprire un varco spazio temporale per raggiungere Ipiales il prima possibile e noi ce la facciamo letteralmente sotto. Soprattutto quando si lancia a tutta velocità in un tratto curvoso con lo strapiombo al lato. Baciamo terra quando arriviamo.

L’hotel a Ipiales è piuttosto basico e inspiegabilmente freddo. Anche per la doccia calda bisogna fare una danza al dio del bollitore e comunque esce solo un rivolo tiepidino. Andiamo a mangiare qualcosa nell’unica tavola calda della zona e indovina chi ti ritroviamo? L’autista e il suo assistente! Ci mancavano dopo aver passato con loro tanto tempo!

La mattina dopo è il grande giorno della frontiera terrestre, la prima in Sud America. Siamo un po’ tesi, anche per via della crisi venezuelana, che porta tanti profughi a passare le frontiere. Abbiamo letto anche di attese di 5 o 6 ore. Per questo motivo ci muoviamo presto. Sul taxi collettivo per il confine facciamo amicizia con un ragazzo marocchino, anche lui in viaggio per il Sud America. Arriviamo alla dogana e tutto sembra nella norma: una gran confusione di uomini e mezzi ma nessuna emergenza umanitaria per fortuna. I grandi tendoni della croce rossa e del UNHCR sono vuoti. Meglio cosi. Sbrighiamo le formalità di uscita dalla Colombia in 5 minuti e dopo aver cambiato i soldi, eccoci attraversare a piedi il ponte tra le due nazioni. Anche dopo tante frontiere attraversate, quel brivido lungo la schiena passeggiando per la terra di nessuno viene sempre.

Border Colombia Ecuador
La prima frontiera terrestre

 

Border Colombia Ecuador
Ma si possono fare le foto in frontiera???

Anche in Ecuador è tutto semplicissimo e in poco tempo è tutto finito. Come per i taxi e i bus, anche alla frontiera nessuno si è minimamente azzardato a chiedere una lira di più del dovuto (in questo caso era tutto gratuito). Dopo il viaggio in Asia questo ci rilassa. Non dover sempre combattere per non essere fregati regala una pace rara. Anche il taxi collettivo dalla frontiera alla prima città non fa differenza, ci dicono subito il prezzo corretto senza cercare di rubarci nulla. Quasi pagheremmo di più dalla contentezza. Incontriamo di nuovo il ragazzo marocchino e facciamo quattro chiacchiere. Proseguiamo il viaggio insieme e quando arriviamo alla stazione degli autobus di Tulcan, prima città in Ecuador, scegliamo insieme il bus da prendere.

Mettiamo gli zaini grandi dentro e poi diciamo al conducente che andiamo un secondo in bagno. Lui fa cenno che non ci sono problemi e noi andiamo. All’uscita, guardando verso il piazzale dove era il nostro autobus ora ne vediamo un altro...Panico! Inizio a guardarmi intorno agitato ma sti cavolo di bus sembrano tutti uguali. C’è poi anche un ometto vestito di rosso di fronte a me che blatera qualcosa e mi distrae dalla mia ricerca affannosa. Mi sta provando a dire qualcosa riguardo al mio autobus...aspetta un attimo...tu sai dove è il mio autobus? Praticamente era l’assistente dell’autista che mi stava indicando di andare a prendere al volo il bus che stava uscendo dalla stazione. Nel frattempo esce anche Erika dal bagno e ci precipitiamo verso il nostro mezzo di trasporto. L’autista mi fa cenno di salire fuori dalla stazione. Col cavolo! e se poi mi lasci qui e te la svigni coi bagagli?!? Salto dentro la porta aperta e anche Erika fa lo stesso.
Ora a mente fredda siamo sicuri che era tutto previsto e nessuno ci voleva fregare ma un po’ di stretta ce l’abbiamo avuta sul momento.

Il viaggio per Otavalo, la nostra prima sosta in Ecuador, è veloce rispetto alle ultime traversate: 3 ore. Passano velocemente e già iniziamo a vedere le prime differenze con la Colombia. Per prima cosa, tutto sembra più in ordine e poi il territorio sembra molto più coltivato. Per le persone ancora non possiamo dire nulla, ma siamo sicuri questo paese ci riserverà meravigliose sorprese.

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