Parque Tayrona - Finalmente ai Caraibi

07 - 08 Settembre 2019

Ci alziamo in tempo per sfruttare la colazione compresa in hotel. Lasciamo alla reception i bagagli che non ci portiamo e partiamo con i nostri zaini pieni di acqua e viveri per due giorni. Abbiamo letto, comunque, che ci sono posti dove mangiare o comprare cose ma vogliamo sempre avere almeno la scelta.
Chiedendo, troviamo l’autobus per l’ingresso del parco e dopo un’oretta arriviamo. Veniamo subito “rapiti” da una addetta che ci spiega come funziona e quali opzioni abbiamo. Ci fidiamo in quanto indossa la divisa del parco. Ci mostra le opzioni per la notte: tre campeggi lungo il percorso per arrivare a Cabo San Juan. Il più popolare è proprio quello sul capo e potrebbe essere molto affollato visto che siamo nel weekend. Lei ci consiglia il più tranquillo campeggio Don Pedro all’ Arecife.

Non ci aspettavamo di dover prendere questa decisione senza vedere i posti o il feeling che ci danno quindi non sappiamo che fare. Non crediamo cambi molto all’esperienza e quindi seguiamo il consiglio. Come giaciglio decidiamo di provare le amache, sperando che la scomodità venga superata dalla maggiore ventilazione rispetto alle tende.
Prendiamo un collettivo che ci fa risparmiare i primi 5km dentro al parco su una anonima strada asfaltata. Di contro però ci regala una fantastica sauna naturale, aromaterapia al profumo di sudore e massaggi con i gomiti dei presenti (pressanti). Dopo questa indimenticabile esperienza, fortunatamente breve, ci incamminiamo per il percorso lungo la costa.

Parque Tayrona
Ancora freschi all’inizio del percorso

Prima saliamo un po’ in mezzo a una vegetazione bassa e fitta. In alcuni punti, delle passerelle/scalinate in legno rendono più facile il percorso. Sembra di essere in Australia. Il caldo umido e l’assenza di vento contribuiscono a rendere il tutto molto faticoso. Dopo pochi metri siamo completamente ricoperti di goccioline di sudore come mai ci era successo prima.

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Erika inizia ad accusare il caldo

Arriviamo in cima alla prima punta e il panorama finalmente si apre per farci godere di uno splendida vista sulla costa. Sotto una capanna di paglia ci sono anche i primi venditori ambulanti di gelati…fortuna che ci siamo portati tutto il cibo altrimenti non so proprio come avremmo fatto in questo luogo così isolato…

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Piccolo scorcio tra la vegetazione verso l’acqua azzurra

Scendiamo velocemente fino a trovarci a pochi metri dal mare su una spiaggia però chiusa alla balneazione. In questo parco, infatti, solo 3 spiagge sono aperte. Le altre sono riserva naturale.

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Spiaggia incontaminata!!

Da qui ci infiliamo in una vegetazione più ampia che ha l’aspetto di una vera e propria foresta pluviale. A tratti la chioma degli alberi sembra una carta da parati incollata sul cielo azzurro. Camminiamo chiacchierando del più e del meno per un’ora circa, fino a giungere alla deviazione con il nome del nostro campeggio. Ci allontaniamo quindi dalla costa per una decina di minuti e arriviamo al don Pedro. La prima impressione che abbiamo è positiva. Grandi capanne di paglia senza pareti laterali sono sparse per tutto il grande spazio brullo dove il campeggio sorge. Al di sotto di queste si trovano le tende, le amache e i tavolini della mensa del campeggio. Ci mostrano subito le nostre amache, in una grande capanna con zanzariere tutto intorno. Sembrano comode, complice la loro dolce linea curva e l’immagine che noi abbiamo della siesta. Lo scopriremo stanotte se saranno veramente cosi.

Dato che è quasi ora di pranzo, prepariamo qualcosa da mangiare così da poter avere più tempo possibile da passare in spiaggia. Il menu di oggi prevede pane, formaggio e pomodori, mentre alla mensa del campeggio qualcun altro sta mangiando l’almuerzo della casa con pollo fritto, riso, uovo etc etc. che triste storia! Però devo dire che stare un po’ più leggeri ci piace.
Scopriamo velocemente che la cucina messa a disposizione dal campeggio per gli avventori meno spendaccioni non è dotata esattamente di tutti i comfort. Addirittura il tavolino è l’unico scoperto di tutto il campeggio. Questo non sarebbe un problema per il meteo, visto che piove assai raramente qui di questa stagione, ma più che altro per le noci di cocco e altri frutti tipo albicocche che precipitano come proiettili incuranti di chi hanno sotto. Al primo bombardamento di “albicocche” che sfiora il mio piatto ma esplode sul tavolino e mi imbratta la faccia, Erika decide che mangerà vicino al lavandino e, più importante, sotto una sicura lamiera di ferro.

Dopo pranzo ci incamminiamo verso le spiagge. In dieci minuti arriviamo alla prima (Arenilla) e superata questa, troviamo una piccola baia non considerata da nessuno, con solo altre tre o quattro persone.

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La nostra baia personale

La baia è paradisiaca, come dice Erika “sembra di stare ai Caraibi”. Ci metto qualche secondo a capire che, si, in effetti SIAMO AI CARAIBI. La battuta comunque era brutta e le faccio uno sguardaccio. Ci tuffiamo nell’acqua azzurrissima e ci riprendiamo dal caldo umidissimo.

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La sirenetta ai Caraibi

Passiamo un paio d’ore tra un bagno, un sonnellino all’ombra di una roccia e qualche chiacchiera.

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Giochi in acqua

Prima di dover tornare vogliamo fare una puntatina anche alla Baia Piscina, a 5 minuti da qui. Questa, tra le più famose del parco, ci delude un po’: spiaggia stretta, acqua non pulitissima, e molta più gente. Siamo pur sempre in una spiaggia caraibica però e quindi ci fermiamo per un’oretta a goderci il sole non più cocente del tardo pomeriggio.

Torniamo al campeggio poco prima delle 18 quando chiude il “deposito bagagli”: una pericolante costruzione di bambù con qualche tavola di legno, in aggiunta scarsamente controllata. Ci facciamo una bella doccia, prepariamo le cose per la notte e ci facciamo una cena a base di noodles, provando per la prima volta in questo viaggio il fornello ad alcool.

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La nostra cucina viaggiante

Dopo esserci fumati un sigaro, siamo talmente stanchi che non possiamo fare altro che metterci a guardare la televisione del campeggio in spagnolo. Insieme a noi e agli altri ospiti, sono arrivati anche una famiglia di una tribù che vive nelle vicinanze. Sono bellissimi vestiti tutti con gli abiti tradizionali. Le 3 bambine si mettono in prima fila e non si perdono una sola battuta del film trasmesso.
Dopo 10 minuti non riusciamo a tenere gli occhi aperti neanche li e ci incamminiamo per la nostra capanna. Il primo approccio con l’amaca è abbastanza comico. Per paura delle zanzare vogliamo usare anche il sacco lenzuolo, ma entrare in questo su una piattaforma instabile come un pezzo di tela tenuto da due corde è una esperienza tutta da ridere. Con qualche imprecazione e l’eleganza di un elefante in un tutù riusciamo finalmente a chiudere gli occhi. Ma da qui ad addormentarsi è tutta un’altra storia. Trovare una posizione comoda è un terno al lotto e muoversi è una roulette russa: un movimento di troppo e si può finire in terra. Alla fine rinunciamo a cercare una notte di sonno ristoratore e ci arrendiamo all’idea di aspettare che passi il prima possibile.

La mattina ci svegliamo meglio del previsto. Alla fine non è molto peggio di una notte in autobus. Facciamo colazione e prendendo solo il necessario, ci incamminiamo verso Cabo San Juan, la spiaggia più lontana che si può raggiungere in questo parco. Quando arriviamo capiamo perché ha la reputazione di essere la più bella. Sembra veramente di essere in una cartolina. Ed ora non c’è ancora neanche tanta gente.

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La baia di Cabo San Juan

Troviamo un posto all’ombra e ci stendiamo dopo un bagno fantastico. Dopo un po’ abbiamo voglia di sole e ci spostiamo su una lingua di sabbia tra il mare e un laghetto. Io noto un cartello in mezzo al lago che recita “Attenzione caimani presenti in queste acque”. Inizio a dirlo a Erika, che appena finisco di dire “caimani” è già dall’altra parte della spiaggia. Io gli dico che sarà tanto per dire, che mica ci saranno davvero. E invece dopo poco arrivano due poliziotti che consigliano a delle persone di spostarsi che i caimani potrebbero anche fare delle escursioni sulla spiaggia…apposto siamo!!!

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La vista dal nostro angolino

Verso ora di pranzo dispiaciuti ma soddisfatti giriamo i tacchi e torniamo al nostro campeggio. Mangiamo un po’ di tonno e verdure in scatola e poi, ripresi gli zaini, riprendiamo di nuovo la strada verso l’ingresso del parco. Siamo sempre furbi nello scegliere le ore più fresche per camminare…

Arriviamo dopo aver perso il 50% del contenuto corporeo di acqua e siamo fortunati abbastanza da trovare immediatamente il bus per Santa Marta. La città la troviamo deserta. Essendo domenica è tutto chiuso e solo i bar sono aperti e popolati dalla cittadinanza maschile meno abbiente e ancora meno sobria. I decibel di musica sud americana che escono dalle casse di questi bar sono oltre ogni soglia legale, e non potrebbero essere accettati in qualsiasi altra cultura. Passando vicino ad uno di questi locali sento un coro di voci che cantano dietro la musica a tutto volume, segno che la birra a fiumi sta facendo il proprio dovere. L’atmosfera è di gioia etilica alla massima potenza. Mi fermo per celebrare con un pollice alzato quello che vedo e tutti scattano in una ovazione. Il più ubriaco di tutti si lancia verso di me con un sorriso a 47 denti, la voglia di essere amico di tutti che solo la birra può dare, e mi grida un “FIJO DE PUTAAA!!” con tanto amore dentro. Mi da anche un cinque per il quale non riesce a dosare benissimo la forza e quasi mi porta via una mano. Mi allontano sapendo di aver trovato un nuovo amico, ma lui è già di nuovo perso tra i fumi del luppolo e non bada più a me.

Dopo una doccia veloce in albergo usciamo per trovare un caffè dove poter lavorare un po’ al sito e alle foto fatte. Ci fermiamo all’Ikara nella via dei gringos e ci prendiamo una birra e un succo. Ci piace talmente tanto che rimaniamo li per quasi tre ore continuando a ordinare piccoli snack e bibite, facendo cena li. Magari riuscissimo a trovare posti così fantastici dovunque!!

La mattina seguente riusciamo a prendere un colectivo per la stazione degli autobus e, da qui, riusciamo a beccare l’autobus più sgarrupato del mucchio per portarci a Cartagena. Sarà questa la causa della sventura che ci capiterà di qui a breve??

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